Il signor Utterson era seduto
accanto al camino, una sera dopo cena, quando, con sua sorpresa, ricevette la visita di
Poole.
"Santo cielo, Poole, qual buon vento ti
porta?" esclamò; poi, guardandolo più attentamente: "Che cè che non
va?" chiese. "Il dottore sta per caso male?"
"Sì, signor Utterson" rispose il
maggiordomo "cè qualcosa che non va."
"Prendi una seggiola, e qui cè un
bicchiere di vino per te" disse lavvocato. "E adesso, mettiti comodo e
dimmi esattamente di che si tratta."
"Lei conosce le abitudini del dottore,
signore" esordì Poole "e sa come ami starsene chiuso in casa. Ora però è
tornato a isolarsi nel suo gabinetto, e la cosa non mi piace per niente, signore. Che io
possa morire se mi va a genio. Signor Utterson, ho paura."
"Orsù, amico mio" lo esortò
lavvocato. "Sii più esplicito, ti prego. Di che cosa hai dunque paura?"
"È da circa una settimana che vivo in preda al
terrore" rispose Poole come se non avesse inteso la domanda "e adesso non ne
posso più."
Laspetto del domestico ne confermava
pienamente le parole; i suoi modi erano cambiati, e non certo in meglio; e tranne nel
momento in cui aveva fatto la sua prima ammissione circa le sue paure, neppure per un
istante aveva guardato lavvocato negli occhi; continuava a starsene seduto con il
bicchiere di vino intatto posato sul ginocchio, lo sguardo fisso al pavimento.
"Non ne posso più" ripeté.
"Andiamo, andiamo" fece lavvocato.
"Capisco che devi avere le tue buone ragioni, caro Poole, vedo che qualcosa di serio
cè di sicuro, e dunque, cerca di spiegarmi di che si tratta."
"Credo che ci sia qualcosa di ignominioso1"
rispose Poole con voce roca.
"Ignominioso!" esclamò lavvocato,
molto spaventato e, di conseguenza, piuttosto incline allirritazione. "Di che
razza di ignominia si tratterebbe? Che cosa intendi dire?"
"Non oso parlare, signore" suonò la
risposta. "Ma perché non viene con me, in modo da potersene rendere conto di
persona?"
La risposta del signor Utterson consistette nel
balzare in piedi, dar piglio a cappello e mantello, non senza però notare la
straordinaria espressione di sollievo che si dipinse sul volto del maggiordomo, tanto più
sorprendente per il fatto che il bicchiere di vino era ancora intatto quando Poole lo
depose per seguirlo.
Era una brutta, fredda, ventosa notte di marzo, con
una pallida luna che se ne stava adagiata sulla gobba quasi che le raffiche
lavessero ribaltata, e con una fuga di nuvole lievi e trasparenti come garza. Il
vento rendeva difficile parlare, oltre a imporporare i volti; sembrava avesse spazzato la
vita dalle strade che apparivano insolitamente deserte di viandanti, al punto che il
signor Utterson ebbe limpressione di non aver mai visto quel quartiere di Londra
così spopolato. Avrebbe desiderato il contrario: mai in vita sua aveva provato una tale
brama2 di vedere e toccare i suoi simili; ché, per quanto lottasse, la sua
mente era gravata da un cupo presentimento di calamità3. La piazzetta, quando
vi giunsero, era tutta polvere e vento, i magri alberi del giardino frustavano
linferriata. Poole, che lungo tutto il percorso aveva preceduto lavvocato di
uno o due passi, a questo punto si piantò in mezzo al marciapiede e, nonostante il freddo
pungente, si tolse il cappello e si asciugò la fronte con un fazzoletto rosso. Era andato
di fretta, certo, ma quello che asciugava non era il sudore della fatica, bensì la
traspirazione di unattanagliante angoscia4; e infatti il suo volto era
pallido e la sua voce, quando finalmente parlò, roca e incerta.
"Ebbene, signore" disse "ci siamo, e
Dio voglia che non sia accaduto niente di male."
"Così sia, Poole" gli fece eco
lavvocato.
Sul che, il maggiordomo bussò con tocco molto
discreto; saprì uno spiraglio, ma la porta restò bloccata dalla catena di
sicurezza; e dallinterno un voce chiese:
"Sei tu, Poole?"
"Tutto in ordine" rispose Poole.
"Apri pure."
Lanticamera, come vi misero piede, apparve
loro illuminata a giorno; il fuoco ardeva allegramente; e attorno al camino lintera
servitù, uomini e donne, stava raggruppata a mo di gregge. Alla vista del signor
Utterson, la cameriera scoppiò in un piagnisteo isterico5; e la cuoca,
gridando:
"Dio sia benedetto, cè il signor
Utterson!" corse verso lavvocato stizzito. "È inammissibile, è molto
riprovevole6, il vostro padrone ne sarebbe tuttaltro che contento!"
"Sono tutti terrorizzati" spiegò Poole.
Seguì un profondo silenzio, nessuno osando
affermare il contrario: solo la cameriera si faceva udire, perché ora piangeva a grandi
singhiozzi.
"Zitta tu!" le ingiunse Poole con
unimperiosità7 che testimoniava quanto a pezzi fossero i suoi nervi; e
infatti, udendo le lamentazioni della ragazza alzarsi improvvisamente di tono, tutti
avevano sussultato, tutti si erano volti verso la porta da cui si accedeva al resto della
casa, come in attesa di alcunché di terribile.
"E tu" riprese il maggiordomo,
rivolgendosi allo sguattero8 "dammi una candela, così risolviamo subito
la faccenda."
Pregò poi il signor Utterson di seguirlo e lo
precedette nel cortile sul retro.
"Adesso, signore" raccomandò
"cammini più silenziosamente che può. Voglio che senta ma che non si faccia udire.
E mi raccomando, signore, se per caso le dicesse di entrare, non ci vada."
I nervi del signor Utterson, a questa conclusione
inaspettata, ebbero un tal sussulto da fargli perdere il controllo; ma lavvocato si
fece animo e seguì il domestico nelledificio trasformato in laboratorio, passando
per la sala anatomica, tra casse e bottiglie, fino ai piedi della scala. Qui Poole gli
fece cenno di mettersi di lato e di tendere lorecchio, mentre lui, deposta la
candela ed evidentemente prendendo il coraggio a quattro mani, saliva i gradini e bussava
come a malincuore sul panno rosso della porta che dava accesso al gabinetto.
"Il signor Utterson vorrebbe vederla,
signore" chiamò; e mentre lo faceva, ancora una volta indirizzò un energico cenno
allavvocato perché ascoltasse.
Dallinterno, una voce rispose con tono
lamentoso:
"Digli che non posso ricevere nessuno."
"Grazie, signore" fece Poole, con
uninflessione9 quasi di trionfo nella voce; e, ripresa la candela,
riaccompagnò il signor Utterson attraverso il cortile nella grande cucina, dove il fuoco
era spento e le blatte10 scorrazzavano sul pavimento.
"Signore" disse, guardando lavvocato
negli occhi "le è sembrata la voce del mio padrone?"
"Mi è parsa molto cambiata" replicò
lavvocato pallidissimo, ma sostenendo lo sguardo dellinterlocutore.
"Cambiata? Be, sì, lo credo bene"
constatò il domestico. "Sono da ventanni in questa casa, e potrei forse
ingannarmi in merito alla sua voce? Nossignore; il mio padrone non cè più; è
scomparso otto giorni fa, quando labbiamo udito invocare a gran voce il nome di Dio;
ma chi mai è là dentro al posto suo, e perché se ne stia lì, è cosa che grida
vendetta al cielo11, signor Utterson!"
"Quel che dici è davvero strano, Poole; anzi
la definirei una storia incredibile, amico mio" commentò il signor Utterson
mordicchiandosi un dito. "Supponiamo che sia come tu dici, supponiamo che il dottor
Jekyll sia stato... ebbene sì assassinato. Che cosa potrebbe indurre lassassino a
starsene ancora qui? È una ipotesi che fa acqua da tutte le parti, del tutto contraria al
buon senso."
"E va bene, signor Utterson, vedo che lei è
una persona difficile, ma ci proverò" riprese Poole. "Dunque, deve sapere che
per tutta la scorsa settimana, lui, o meglio quella cosa, quale che sia, che vive in quel
gabinetto, ha urlato notte e giorno che voleva non so qualche preparato che non riusciva a
farsi venire in mente. A volte soleva12 - il mio padrone, voglio dire -
scrivere i suoi ordini su un foglio di carta che poi gettava sulla scala. E la settimana
passata non cè stato praticamente altro: nullaltro che foglietti di carta,
voglio dire, e luscio sbarrato, e i pasti lasciati lì fuori, per essere ritirati
solo quando non cera nessuno a vedere. Orbene, signore, ogni giorno, ma che dico,
due, tre, volte al giorno, cerano ordini e lamentele, e io venivo spedito da tutti i
farmacisti della città. Ma ogni qualvolta portavo la sostanza richiesta, cera
subito un altro foglietto che mi ingiungeva di restituirla perché non era pura, e un
nuovo ordine per unaltra ditta. È un preparato che devessere assolutamente
indispensabile, signore, quale che esso sia."
"Hai conservato qualcuno di quei
biglietti?" chiese il signor Utterson.
Poole si frugò in tasca e ne cavò un foglietto
sgualcito che lavvocato, avvicinandolo alla candela, esaminò attentamente. Vi si
leggeva:
"Il dottor Jekyll porge i suoi omaggi ai
signori Maw. Li assicura che il loro ultimo campione è impuro e del tutto inutile per gli
scopi che attualmente persegue. Nellanno 18..., il dottor J. ne acquistò un
quantitativo abbastanza cospicuo dai signori M., e ora li prega di cercare con la massima
cura e, qualora un po dello stesso preparato si trovasse, di inviarglielo
immediatamente. Lentità della spesa non ha importanza. Per il dottor J. si tratta
di un preparato di importanza vitale."
Fin qui, la missiva era pacata; ma a quel punto, con
unimprovvisa impennata, le emozioni dello scrivente avevano rotto gli argini13.
"Per amor di Dio" aveva soggiunto
"trovatemi un po del vecchio preparato!"
"È uno strano biglietto" commentò il
signor Utterson; poi, con tono severo: "E si può sapere perché lo hai aperto?"
"Perché il commesso di Maw si è irritato,
signore, e me lha ributtato lì come se si trattasse di cartaccia" spiegò
Poole.
"È indubbiamente la scrittura del dottore,
vero?" riprese lavvocato.
"Direi proprio di sì" disse il domestico
un po piccato14; quindi, con tono diverso: "Ma che vuole che conti
la grafia? Io lho visto".
"Visto?" ripeté lavvocato.
"Bene?"
"Benissimo!" assicurò Poole. "È
andata così: sono entrato allimprovviso nella sala anatomica provenendo dal
cortile, e lui evidentemente era uscito dal suo gabinetto per cercare quel preparato o
quel che è; e infatti, la porta del gabinetto era aperta, e lui era lì, in fondo alla
stanza, che frugava tra le casse. Come sono entrato, ha alzato gli occhi, ha lanciato come
uno strido, ed è volato su per le scale, nel gabinetto. Lho visto solo per pochi
istanti, ma i capelli mi si sono rizzati in testa come aculei. Signore, se quello era il
mio padrone, perché portava una maschera sul volto? Se era il mio padrone, perché ha
gridato come un sorcio in trappola e se lè svignata? È da lungo tempo che sono al
suo servizio, e poi..." il domestico si interruppe, si passò una mano sul volto.
"Sono circostanze molto strane" convenne
il signor Utterson "ma credo di cominciare a intravedere un po di luce. Il tuo
padrone, caro Poole, è semplicemente colpito da una di quelle malattie che torturano e
deformano il paziente; donde, direi, lalterazione della voce; donde anche la
maschera e il suo tenere gli amici alla larga, e ancora la sua ansia di trovare il
preparato, che a quel poveretto sembra essere lultima speranza di guarigione, e Dio
voglia che non resti deluso! Ecco, questa è la mia spiegazione; abbastanza triste, Poole,
ne convengo, e a pensarci fa tremare le ginocchia; ma è semplice e logica, non fa una
grinza e ci evita allarmi eccessivi."
"Signore" insistette il domestico, e più
che pallido era livido "quella cosa lì non era il mio padrone, glielo posso giurare.
Il mio padrone" e qui si guardò intorno e continuò in un sussurro "è un uomo
alto e ben fatto, e questo era poco più che un nano."
Utterson abbozzò una protesta.
"Ah, signore" lo interruppe Poole
"crede forse che io non conosca il mio padrone dopo ventanni? Crede forse che
non sappia a quale altezza arriva la sua testa, nel riquadro della porta del gabinetto,
sulla cui soglia lho visto ogni mattino della mia vita? Nossignore, quella cosa con
la maschera non è mai stata il dottor Jekyll, Dio solo sa chi era, ma il dottor Jekyll no
di sicuro; e sono profondamente convinto che sia stato commesso un assassinio."
"Poole" ribatté lavvocato "di
fronte a questa tua affermazione è mio dovere andare fino in fondo. Per quanto io
desideri rispettare i sentimenti del tuo padrone, per quanto perplesso mi lasci questo
biglietto, ritengo mio dovere sfondare quelluscio."
"Ah, signor Utteron, questo sì che è
parlare!" esultò il maggiordomo.
"E ora la seconda domanda" continuò
Utterson. "Chi lo farà?"
"Be, noi due, signore" fu la pronta
risposta.
"Benissimo" accondiscese lavvocato.
"E, quali che ne siano le conseguenze, farò in modo che a te non ne derivino
noie."
"Cè unascia nella sala
anatomica" lo informò Poole "e lei potrà munirsi dellattizzatoio15."
Lavvocato diede di piglio a quel rozzo ma
massiccio arnese, soppesandolo.
"Lo sai, vero, Poole" disse poi, fissando
il domestico "che noi due stiamo per cacciarci in un pericolo?"
"Ah, di questo può star certo, signore"
convenne il maggiordomo.
"E allora, sarà opportuno parlare con
franchezza" fece laltro. "Tutti e due pensiamo più di quanto non abbiamo
detto; orsù, vuotiamo il sacco. Quella figura mascherata da te vista, lhai
riconosciuta?"
"Be, signore, è stato tutto così
rapido, e quellessere stava talmente ripiegato su se stesso, che non mi sentirei di
giurarlo" fu la risposta. "Ma se lei vuol dire che... che era il signor Hyde,
ebbene sì, credo proprio che lo fosse. Vede, la statura era proprio la sua, e anche
lagilità era la stessa; e poi, chi altro avrebbe potuto entrare dalla porta del
laboratorio? Lei non ha certo dimenticato, signore, che allepoca
dellassassinio di Carew aveva ancora la chiave con sé, vero? Ma non è tutto. Non
so, signor Utteron, se lei ha mai incontrato il signor Hyde."
"Sì" rispose lavvocato. "Una
volta gli ho parlato."
"Quandè così, evidentemente lei sa,
come del resto tutti noi, che in quelluomo cera qualcosa di strano, qualcosa
che lasciava sgomenti... Non saprei come definirlo, signore, se non così: era come se le
ossa si gelassero, se il freddo penetrasse fin nel midollo."
"Ammetto di aver provato qualcosa di
simile" convenne lavvocato.
"Era proprio così, signore" riattaccò
Poole. "Orbene, quando quellessere mascherato è saltato su come una scimmia
tra gli apparecchi chimici ed è volato nel gabinetto, mi sono sentito un brivido lungo la
spina dorsale. Oh, so bene che non è una prova, signor Utterson; sono abbastanza istruito
per esserne al corrente. Daltro canto, un uomo ha certe sensazioni, e io le giuro
sulla Bibbia che quello era il signor Hyde!"
"Eh, eh" fece lavvocato "i miei
timori concordano con i tuoi. Temo che il male sia stato lorigine - e male senza
dubbio doveva derivarne - di quella reazione. Ti credo, ti credo senzaltro; credo
che il povero Henry sia stato ucciso, come credo che il suo assassino, per quale motivo
Dio solo lo sa, sia ancora acquattato nella stanza della vittima. Bene, che il nostro nome
sia vendetta. Chiama subito Bradshaw."
Alla chiamata accorse il valletto16,
pallidissimo e nervoso.
"Fatti animo, Bradshaw" lo esortò
lavvocato. "Questo stato di tensione, lo so benissimo, logora i nervi a tutti
voi; adesso, però, è nostra intenzione farla finita. Poole e io ci accingiamo a sfondare
luscio del gabinetto. Se tutto dovesse risultare regolare, ho spalle abbastanza
larghe per sopportare le conseguenze del mio gesto. Comunque, nelleventualità che
davvero qualcosa di anormale ci sia, e un malfattore cerchi di svignarsela dal retro, tu e
lo sguattero dovete girare langolo e con un paio di buoni bastoni appostarvi alla
porta del laboratorio. Avete dieci minuti per arrivarci."
Bradshaw si allontanò e lavvocato diede
unocchiata allorologio.
"E adesso, Poole, noi due andiamo al nostro
posto" comandò.
E, infilatosi lattizzatoio sotto il braccio,
si avviò per il cortile. La nuvolaglia aveva velato la luna, sicché il buoi era totale.
Il vento, che penetrava solo a refoli e folate17 in quel profondo pozzo tra gli
edifici, agitò la fiamma della candela, rendendo incerto il loro passo, finché non
giunsero al riparo della sala anatomica, dove si sedettero in silenzio ad aspettare.
Londra ronzava sommessa tuttattorno; ma più vicino a loro, il silenzio era rotto
soltanto da un rumore di passi che andavano su e giù per il pavimento del gabinetto.
"Fa così tutto il giorno, signore"
assicurò Poole. "Già, e anche gran parte della notte, e una pausa cè solo
quando dalla farmacia arriva un nuovo campione. Eh, solo una coscienza colpevole può
essere a tal punto nemica del riposo! Oh, sì, signore, in ognuno di quei passi cè
tanto sangue malvagiamente versato! Ma ascolti ancora. Più vicino. Allunghi bene
lorecchio, signor Utterson. E mi dica: è proprio il passo del dottore,
quello?"
Il calpestio era leggero e irregolare e, per quanto
molto lento, si avvertiva in esso un certo slancio: passi diversi, su questo non
cera dubbio, dallandatura pesante, massiccia, di Henry Jekyll. Utterson
sospirò.
"E non hai sentito nientaltro?"
chiese.
Poole annuì.
"Sì, una volta" rispose. "Una volta
ho sentito quellessere piangere."
"Piangere? Come sarebbe?" interrogò
lavvocato, avvertendo un subitaneo brivido dorrore.
"Gemere come una donna o unanima in
pena" spiegò il maggiordomo. "Mi sono allontanato con quellimpressione in
cuore, e veniva da piangere anche a me."
Ormai i dieci minuti erano trascorsi. Poole riesumò18
lascia da sotto un mucchio di paglia da imballaggio; la candela venne piantata sul
tavolo più vicino per far loro luce durante lassalto, e tutti e due, trattenendo il
respiro, saccostarono al luogo in cui quel passo tenace continuava ad andare su e
giù, su e giù nel silenzio della notte.
"Jekyll" gridò Utterson con quanta voce
aveva "desidero vederla!"
Attese un istante, ma nessuna risposta gli giunse.
"Lavverto, nutriamo dei sospetti sul suo
conto, e io devo vederla e la vedrò" riprese. "Se non vuole con le buone, sarà
con le cattive. E se rifiuta, impiegheremo la forza."
"Utterson" rispose dallinterno una
voce "per lamor di Dio, abbia pietà."
"Ah, questa non è la voce di Jekyll, è la
voce di Hyde!" esclamò lavvocato. "Giù luscio, Poole."
Poole vibrò lascia; il colpo scosse
ledificio, la porta ricoperta di panno rosso sussultò su cardini e serratura. Un
grido orrendo, come di animale in preda al terrore, uscì dal gabinetto. La scure calò di
nuovo, ancora una volta i pannelli scricchiolarono, lintelaiatura oscillò; quattro
colte la lama cadde, ma il legno era tenace, il serramento di ottima fattura; porta
frantumata cadde allinterno, sul tappeto.
Gli assalitori, stupiti dalla loro stessa violenza e
dal silenzio che era seguito, arretrarono di un passo e guardarono all'interno. Davanti a
loro stava il gabinetto alla tranquilla luce della lampada, un bel fuoco ardeva e
scoppiettava nel camino, il bollitore cantava la sua sommessa nenia, un paio di cassetti
erano aperti, carte bene impilate stavano sulla scrivania e, accanto al fuoco, tutto era
pronto per il tè: insomma, la si sarebbe detta la stanza più tranquilla e, non fosse
stato per le vetrine piene di apparecchi chimici, la più normale che quella notte ci
fosse a Londra.
Proprio nel mezzo della stanza, giaceva il corpo di
un uomo tutto contorto, ancora sussultante. Gli si accostarono in punta di piedi, lo
rivoltarono sulla schiena, ed ebbero sott'occhio la faccia di Edward Hyde. Era vestito con
abiti troppo ampi per lui, indumenti della misura del dottore; i muscoli del volto ancora
gli si contraevano in una sembianza di vita, ma la vita se n'era volata via; e dalla fiala
frantumata che serrava nella mano e dal forte odore di mandorle19 che stagnava
nella stanza, Utterson arguì che si trovava al cospetto del cadavere d'un suicida.
"Siamo arrivati troppo tardi" annunciò
con tono grave "sia per salvare che per punire. Hyde se n'è andato per conto suo e
non ci resta che trovare i resti del tuo padrone."
La maggior parte dell'edificio era occupata dalla
sala anatomica che prendeva quasi l'intero pianterreno e riceveva luce dall'alto, e dal
gabinetto, che formava un piano a una estremità e dava sul cortile. Un corridoio
collegava la sala anatomica alla porta sulla stradetta; e il gabinetto comunicava
separatamente con questa per mezzo di un'altra rampa di scale. C'erano inoltre alcuni
ripostigli bui e una spaziosa cantina, e l'avvocato e il domestico procedettero all'esame
accurato di tutti quei locali. Per ognuno dei ripostigli bastò un'occhiata: erano vuoti
e, a giudicare dalla polvere che cadeva dagli stipiti delle rispettive porte, da tempo non
erano stati aperti. Quanto alla cantina, questa era zeppa delle più disparate
cianfrusaglie, per lo più risalenti all'epoca in cui la casa apparteneva al chirurgo
predecessore di Jekyll; e bastò loro spingerne l'uscio, per convincerli dell'inutilità
di ulteriori ricerche, grazie al crollo della fitta cortina di ragnatele che per anni
avevano occluso il vano. In nessun posto c'era traccia di Henry Jekyll, vivo o morto che
fosse.
Poole batté il piede sulle lastre di pietra del
corridoio.
"Deve essere sepolto qui" sostenne
ascoltandone l'eco.
"Può anche essere fuggito" fece osservare
Utterson, e passò a esaminare la porta che dava sul vicolo. Era chiusa; e sul pavimento,
accanto a essa, rinvennero la chiave già macchiata di ruggine.
"Non si direbbe che sia stata usata"
osservò l'avvocato.
"Usata!" ripeté Poole. "Ma non vede
che è rotta, signore? Si direbbe che qualcuno l'abbia calpestata."
"Già" constatò Utterson. "E anche i
punti in cui è infranta sono arrugginiti."
I due si guardarono preoccupati.
"Questo trascende20 le mie capacità
di comprensione, caro Poole commentò poi l'avvocato. "Torniamo nel gabinetto."
Risalirono in silenzio la scala e, di tanto in tanto
scoccando un'occhiata sgomenta al cadavere, procedettero a un esame più accurato del
contenuto della stanza. Su una tavola c'erano tracce di esperimenti chimici, in varie
bacinelle di vetro erano state versate dosi variabili di un sale bianco, lo si sarebbe
detto un tentativo che l'infelice aveva dovuto lasciare a mezzo.
"Quello è il preparato che gli portavo di
continuo" indicò Poole; mentre così parlava, il bollitore traboccò con uno
sfrigolio che li fece sobbalzare.
Ciò li attirò al caminetto, dove una poltrona era
stata piazzata nel punto più comodo e il servizio da tè era pronto, a portata di mano di
chi l'avesse occupata, già con lo zucchero nella tazza. Su uno scaffale stavano diversi
libri; uno di essi era aperto, accanto alla teiera, e Utterson fu sorpreso nel constatare
che si trattava di un certo testo di teologia, per il quale Jekyll aveva più volte
espresso grande ammirazione e che appariva annotato di suo pugno con incredibili propositi
blasfemi21.
Nel corso del loro esame, i due s'accostarono poi al
grande specchio, nelle cui profondità affissarono lo sguardo con involontario orrore. Ma
lo specchio era girato in modo da mostrare loro null'altro che il barbaglio rossastro
riflesso sul soffitto, la fiamma ripetuta in cento repliche dalla superficie vitrea degli
armadi a muro e i loro stessi volti, pallidi e spaventati, che si chinavano a guardarvi
dentro.
"Questo specchio ne deve aver viste, di cose
strane, signore" sussurrò Poole.
"E certamente nulla di più strano di se
stesso" gli fece eco l'avvocato sullo stesso tono. "Perché mai Jekyll..."
si interruppe di colpo, quindi, vincendo l'attimo di debolezza: "Insomma, che poteva
farsene, Jekyll?" chiese.
"Se non lo sa lei..." commentò Poole.
Passarono poi all'esame della scrivania. Sul
ripiano, tra le carte bene ordinate, spiccava una grande busta che recava, tracciato con
la grafia del dottore, il nome del signor Utterson. L'avvocato l'aprì, e parecchi fogli
ne piovvero sul pavimento. Il primo era un testamento, vergato negli stessi eccentrici22
termini di quello che l'avvocato aveva restituito sei mesi prima; esso valeva appunto come
testamento in caso di morte e come atto di donazione in caso di scomparsa; ma in luogo del
nome di Edward Hyde, l'avvocato, con suo indescrivibile stupore, lesse quello di Gabriel
John Utterson. Guardò Poole, tornò con gli occhi al foglio, infine si posò sul
malfattore stecchito sul tappeto.
"Non ci capisco più niente" se ne uscì a
dire. Quell'essere l'ha avuto tra le mani tutti questi giorni. Non aveva certo particolari
ragioni di amarmi; doveva essere fuori di sé dalla rabbia per essere stato diseredato,
eppure non ha distrutto questo documento."
Diede poi di piglio al foglio successivo: un breve
biglietto, anch'esso di pugno del dottore, in testa al quale si leggeva la data.
"Ma Poole!" esclamò l'avvocato. "Il
dottore era ancora vivo oggi, e si trovava qui. Non può essere stato fatto sparire in
così breve tempo; deve essere ancora in vita, deve essere fuggito! Ma allora, perché è
fuggito? E come? E in tal caso, possiamo azzardarci a dichiarare questo un suicidio? Ah,
dobbiamo procedere con i piedi di piombo. Ho il presentimento che potremmo coinvolgere il
tuo padrone in un'orrenda catastrofe."
"Perché non lo legge, signore?" chiese
Poole.
"Perché ho paura" rispose con tono grave
l'avvocato. "Ma Dio voglia che la mia paura sia immotivata!" e così dicendo si
avvicinò il foglio agli occhi, e lesse quanto segue:
"Mio caro Utterson quando questa sarà in mani
sue, io sarò scomparso, in quali circostanze non so e non posso prevedere; ma il mio
istinto e tutte le congiunture23 di questa mia innominabile condizione mi
dicono che la fine è certa e senz'altro prossima. Avanti dunque, e innanzitutto legga la
relazione che Lanyon mi ha comunicato di aver affidato in sue mani; e se vuole saperne di
più attinga alla confessione del
Suo indegno e infelice amico
Henry Jekyll"
"C'è un altro plico?" chiese Utterson.
"Eccolo, signore" rispose Poole
mettendogli in mano una busta rigonfia, costellata di sigilli.
L'avvocato se la infilò in tasca.
"Se fossi in te, non farei parola di questo
documento" disse. "Se il tuo padrone è fuggito o è morto, ne possiamo per lo
meno salvare l'onore. Adesso sono le dieci; mi conviene andare a casa e leggere queste
carte con calma; ma sarò di ritorno prima di mezzanotte, quando manderemo la
polizia."
Uscirono chiudendosi alle spalle la porta della sala
anatomica, e Utterson, lasciando la servitù sempre radunata attorno al camino in
anticamera, tornò nel suo ufficio per leggere le due relazioni destinate a svelare
l'enigma.