Capitolo 8
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    Il signor Utterson era seduto accanto al camino, una sera dopo cena, quando, con sua sorpresa, ricevette la visita di Poole.

    "Santo cielo, Poole, qual buon vento ti porta?" esclamò; poi, guardandolo più attentamente: "Che c’è che non va?" chiese. "Il dottore sta per caso male?"

    "Sì, signor Utterson" rispose il maggiordomo "c’è qualcosa che non va."

    "Prendi una seggiola, e qui c’è un bicchiere di vino per te" disse l’avvocato. "E adesso, mettiti comodo e dimmi esattamente di che si tratta."

    "Lei conosce le abitudini del dottore, signore" esordì Poole "e sa come ami starsene chiuso in casa. Ora però è tornato a isolarsi nel suo gabinetto, e la cosa non mi piace per niente, signore. Che io possa morire se mi va a genio. Signor Utterson, ho paura."

    "Orsù, amico mio" lo esortò l’avvocato. "Sii più esplicito, ti prego. Di che cosa hai dunque paura?"

    "È da circa una settimana che vivo in preda al terrore" rispose Poole come se non avesse inteso la domanda "e adesso non ne posso più."

    L’aspetto del domestico ne confermava pienamente le parole; i suoi modi erano cambiati, e non certo in meglio; e tranne nel momento in cui aveva fatto la sua prima ammissione circa le sue paure, neppure per un istante aveva guardato l’avvocato negli occhi; continuava a starsene seduto con il bicchiere di vino intatto posato sul ginocchio, lo sguardo fisso al pavimento.

    "Non ne posso più" ripeté.

    "Andiamo, andiamo" fece l’avvocato. "Capisco che devi avere le tue buone ragioni, caro Poole, vedo che qualcosa di serio c’è di sicuro, e dunque, cerca di spiegarmi di che si tratta."

    "Credo che ci sia qualcosa di ignominioso1" rispose Poole con voce roca.

    "Ignominioso!" esclamò l’avvocato, molto spaventato e, di conseguenza, piuttosto incline all’irritazione. "Di che razza di ignominia si tratterebbe? Che cosa intendi dire?"

    "Non oso parlare, signore" suonò la risposta. "Ma perché non viene con me, in modo da potersene rendere conto di persona?"

    La risposta del signor Utterson consistette nel balzare in piedi, dar piglio a cappello e mantello, non senza però notare la straordinaria espressione di sollievo che si dipinse sul volto del maggiordomo, tanto più sorprendente per il fatto che il bicchiere di vino era ancora intatto quando Poole lo depose per seguirlo.

    Era una brutta, fredda, ventosa notte di marzo, con una pallida luna che se ne stava adagiata sulla gobba quasi che le raffiche l’avessero ribaltata, e con una fuga di nuvole lievi e trasparenti come garza. Il vento rendeva difficile parlare, oltre a imporporare i volti; sembrava avesse spazzato la vita dalle strade che apparivano insolitamente deserte di viandanti, al punto che il signor Utterson ebbe l’impressione di non aver mai visto quel quartiere di Londra così spopolato. Avrebbe desiderato il contrario: mai in vita sua aveva provato una tale brama2 di vedere e toccare i suoi simili; ché, per quanto lottasse, la sua mente era gravata da un cupo presentimento di calamità3. La piazzetta, quando vi giunsero, era tutta polvere e vento, i magri alberi del giardino frustavano l’inferriata. Poole, che lungo tutto il percorso aveva preceduto l’avvocato di uno o due passi, a questo punto si piantò in mezzo al marciapiede e, nonostante il freddo pungente, si tolse il cappello e si asciugò la fronte con un fazzoletto rosso. Era andato di fretta, certo, ma quello che asciugava non era il sudore della fatica, bensì la traspirazione di un’attanagliante angoscia4; e infatti il suo volto era pallido e la sua voce, quando finalmente parlò, roca e incerta.

    "Ebbene, signore" disse "ci siamo, e Dio voglia che non sia accaduto niente di male."

    "Così sia, Poole" gli fece eco l’avvocato.

    Sul che, il maggiordomo bussò con tocco molto discreto; s’aprì uno spiraglio, ma la porta restò bloccata dalla catena di sicurezza; e dall’interno un voce chiese:

    "Sei tu, Poole?"

    "Tutto in ordine" rispose Poole. "Apri pure."

    L’anticamera, come vi misero piede, apparve loro illuminata a giorno; il fuoco ardeva allegramente; e attorno al camino l’intera servitù, uomini e donne, stava raggruppata a mo’ di gregge. Alla vista del signor Utterson, la cameriera scoppiò in un piagnisteo isterico5; e la cuoca, gridando:

    "Dio sia benedetto, c’è il signor Utterson!" corse verso l’avvocato stizzito. "È inammissibile, è molto riprovevole6, il vostro padrone ne sarebbe tutt’altro che contento!"

    "Sono tutti terrorizzati" spiegò Poole.

    Seguì un profondo silenzio, nessuno osando affermare il contrario: solo la cameriera si faceva udire, perché ora piangeva a grandi singhiozzi.

    "Zitta tu!" le ingiunse Poole con un’imperiosità7 che testimoniava quanto a pezzi fossero i suoi nervi; e infatti, udendo le lamentazioni della ragazza alzarsi improvvisamente di tono, tutti avevano sussultato, tutti si erano volti verso la porta da cui si accedeva al resto della casa, come in attesa di alcunché di terribile.

    "E tu" riprese il maggiordomo, rivolgendosi allo sguattero8 "dammi una candela, così risolviamo subito la faccenda."

    Pregò poi il signor Utterson di seguirlo e lo precedette nel cortile sul retro.

    "Adesso, signore" raccomandò "cammini più silenziosamente che può. Voglio che senta ma che non si faccia udire. E mi raccomando, signore, se per caso le dicesse di entrare, non ci vada."

    I nervi del signor Utterson, a questa conclusione inaspettata, ebbero un tal sussulto da fargli perdere il controllo; ma l’avvocato si fece animo e seguì il domestico nell’edificio trasformato in laboratorio, passando per la sala anatomica, tra casse e bottiglie, fino ai piedi della scala. Qui Poole gli fece cenno di mettersi di lato e di tendere l’orecchio, mentre lui, deposta la candela ed evidentemente prendendo il coraggio a quattro mani, saliva i gradini e bussava come a malincuore sul panno rosso della porta che dava accesso al gabinetto.

    "Il signor Utterson vorrebbe vederla, signore" chiamò; e mentre lo faceva, ancora una volta indirizzò un energico cenno all’avvocato perché ascoltasse.

    Dall’interno, una voce rispose con tono lamentoso:

    "Digli che non posso ricevere nessuno."

    "Grazie, signore" fece Poole, con un’inflessione9 quasi di trionfo nella voce; e, ripresa la candela, riaccompagnò il signor Utterson attraverso il cortile nella grande cucina, dove il fuoco era spento e le blatte10 scorrazzavano sul pavimento.

    "Signore" disse, guardando l’avvocato negli occhi "le è sembrata la voce del mio padrone?"

    "Mi è parsa molto cambiata" replicò l’avvocato pallidissimo, ma sostenendo lo sguardo dell’interlocutore.

    "Cambiata? Be’, sì, lo credo bene" constatò il domestico. "Sono da vent’anni in questa casa, e potrei forse ingannarmi in merito alla sua voce? Nossignore; il mio padrone non c’è più; è scomparso otto giorni fa, quando l’abbiamo udito invocare a gran voce il nome di Dio; ma chi mai è là dentro al posto suo, e perché se ne stia lì, è cosa che grida vendetta al cielo11, signor Utterson!"

    "Quel che dici è davvero strano, Poole; anzi la definirei una storia incredibile, amico mio" commentò il signor Utterson mordicchiandosi un dito. "Supponiamo che sia come tu dici, supponiamo che il dottor Jekyll sia stato... ebbene sì assassinato. Che cosa potrebbe indurre l’assassino a starsene ancora qui? È una ipotesi che fa acqua da tutte le parti, del tutto contraria al buon senso."

    "E va bene, signor Utterson, vedo che lei è una persona difficile, ma ci proverò" riprese Poole. "Dunque, deve sapere che per tutta la scorsa settimana, lui, o meglio quella cosa, quale che sia, che vive in quel gabinetto, ha urlato notte e giorno che voleva non so qualche preparato che non riusciva a farsi venire in mente. A volte soleva12 - il mio padrone, voglio dire - scrivere i suoi ordini su un foglio di carta che poi gettava sulla scala. E la settimana passata non c’è stato praticamente altro: null’altro che foglietti di carta, voglio dire, e l’uscio sbarrato, e i pasti lasciati lì fuori, per essere ritirati solo quando non c’era nessuno a vedere. Orbene, signore, ogni giorno, ma che dico, due, tre, volte al giorno, c’erano ordini e lamentele, e io venivo spedito da tutti i farmacisti della città. Ma ogni qualvolta portavo la sostanza richiesta, c’era subito un altro foglietto che mi ingiungeva di restituirla perché non era pura, e un nuovo ordine per un’altra ditta. È un preparato che dev’essere assolutamente indispensabile, signore, quale che esso sia."

    "Hai conservato qualcuno di quei biglietti?" chiese il signor Utterson.

    Poole si frugò in tasca e ne cavò un foglietto sgualcito che l’avvocato, avvicinandolo alla candela, esaminò attentamente. Vi si leggeva:

    "Il dottor Jekyll porge i suoi omaggi ai signori Maw. Li assicura che il loro ultimo campione è impuro e del tutto inutile per gli scopi che attualmente persegue. Nell’anno 18..., il dottor J. ne acquistò un quantitativo abbastanza cospicuo dai signori M., e ora li prega di cercare con la massima cura e, qualora un po’ dello stesso preparato si trovasse, di inviarglielo immediatamente. L’entità della spesa non ha importanza. Per il dottor J. si tratta di un preparato di importanza vitale."

    Fin qui, la missiva era pacata; ma a quel punto, con un’improvvisa impennata, le emozioni dello scrivente avevano rotto gli argini13.

    "Per amor di Dio" aveva soggiunto "trovatemi un po’ del vecchio preparato!"

    "È uno strano biglietto" commentò il signor Utterson; poi, con tono severo: "E si può sapere perché lo hai aperto?"

    "Perché il commesso di Maw si è irritato, signore, e me l’ha ributtato lì come se si trattasse di cartaccia" spiegò Poole.

    "È indubbiamente la scrittura del dottore, vero?" riprese l’avvocato.

    "Direi proprio di sì" disse il domestico un po’ piccato14; quindi, con tono diverso: "Ma che vuole che conti la grafia? Io l’ho visto".

    "Visto?" ripeté l’avvocato. "Bene?"

    "Benissimo!" assicurò Poole. "È andata così: sono entrato all’improvviso nella sala anatomica provenendo dal cortile, e lui evidentemente era uscito dal suo gabinetto per cercare quel preparato o quel che è; e infatti, la porta del gabinetto era aperta, e lui era lì, in fondo alla stanza, che frugava tra le casse. Come sono entrato, ha alzato gli occhi, ha lanciato come uno strido, ed è volato su per le scale, nel gabinetto. L’ho visto solo per pochi istanti, ma i capelli mi si sono rizzati in testa come aculei. Signore, se quello era il mio padrone, perché portava una maschera sul volto? Se era il mio padrone, perché ha gridato come un sorcio in trappola e se l’è svignata? È da lungo tempo che sono al suo servizio, e poi..." il domestico si interruppe, si passò una mano sul volto.

    "Sono circostanze molto strane" convenne il signor Utterson "ma credo di cominciare a intravedere un po’ di luce. Il tuo padrone, caro Poole, è semplicemente colpito da una di quelle malattie che torturano e deformano il paziente; donde, direi, l’alterazione della voce; donde anche la maschera e il suo tenere gli amici alla larga, e ancora la sua ansia di trovare il preparato, che a quel poveretto sembra essere l’ultima speranza di guarigione, e Dio voglia che non resti deluso! Ecco, questa è la mia spiegazione; abbastanza triste, Poole, ne convengo, e a pensarci fa tremare le ginocchia; ma è semplice e logica, non fa una grinza e ci evita allarmi eccessivi."

    "Signore" insistette il domestico, e più che pallido era livido "quella cosa lì non era il mio padrone, glielo posso giurare. Il mio padrone" e qui si guardò intorno e continuò in un sussurro "è un uomo alto e ben fatto, e questo era poco più che un nano."

    Utterson abbozzò una protesta.

    "Ah, signore" lo interruppe Poole "crede forse che io non conosca il mio padrone dopo vent’anni? Crede forse che non sappia a quale altezza arriva la sua testa, nel riquadro della porta del gabinetto, sulla cui soglia l’ho visto ogni mattino della mia vita? Nossignore, quella cosa con la maschera non è mai stata il dottor Jekyll, Dio solo sa chi era, ma il dottor Jekyll no di sicuro; e sono profondamente convinto che sia stato commesso un assassinio."

    "Poole" ribatté l’avvocato "di fronte a questa tua affermazione è mio dovere andare fino in fondo. Per quanto io desideri rispettare i sentimenti del tuo padrone, per quanto perplesso mi lasci questo biglietto, ritengo mio dovere sfondare quell’uscio."

    "Ah, signor Utteron, questo sì che è parlare!" esultò il maggiordomo.

    "E ora la seconda domanda" continuò Utterson. "Chi lo farà?"

    "Be’, noi due, signore" fu la pronta risposta.

    "Benissimo" accondiscese l’avvocato. "E, quali che ne siano le conseguenze, farò in modo che a te non ne derivino noie."

    "C’è un’ascia nella sala anatomica" lo informò Poole "e lei potrà munirsi dell’attizzatoio15."

    L’avvocato diede di piglio a quel rozzo ma massiccio arnese, soppesandolo.

    "Lo sai, vero, Poole" disse poi, fissando il domestico "che noi due stiamo per cacciarci in un pericolo?"

    "Ah, di questo può star certo, signore" convenne il maggiordomo.

    "E allora, sarà opportuno parlare con franchezza" fece l’altro. "Tutti e due pensiamo più di quanto non abbiamo detto; orsù, vuotiamo il sacco. Quella figura mascherata da te vista, l’hai riconosciuta?"

    "Be’, signore, è stato tutto così rapido, e quell’essere stava talmente ripiegato su se stesso, che non mi sentirei di giurarlo" fu la risposta. "Ma se lei vuol dire che... che era il signor Hyde, ebbene sì, credo proprio che lo fosse. Vede, la statura era proprio la sua, e anche l’agilità era la stessa; e poi, chi altro avrebbe potuto entrare dalla porta del laboratorio? Lei non ha certo dimenticato, signore, che all’epoca dell’assassinio di Carew aveva ancora la chiave con sé, vero? Ma non è tutto. Non so, signor Utteron, se lei ha mai incontrato il signor Hyde."

    "Sì" rispose l’avvocato. "Una volta gli ho parlato."

    "Quand’è così, evidentemente lei sa, come del resto tutti noi, che in quell’uomo c’era qualcosa di strano, qualcosa che lasciava sgomenti... Non saprei come definirlo, signore, se non così: era come se le ossa si gelassero, se il freddo penetrasse fin nel midollo."

    "Ammetto di aver provato qualcosa di simile" convenne l’avvocato.

    "Era proprio così, signore" riattaccò Poole. "Orbene, quando quell’essere mascherato è saltato su come una scimmia tra gli apparecchi chimici ed è volato nel gabinetto, mi sono sentito un brivido lungo la spina dorsale. Oh, so bene che non è una prova, signor Utterson; sono abbastanza istruito per esserne al corrente. D’altro canto, un uomo ha certe sensazioni, e io le giuro sulla Bibbia che quello era il signor Hyde!"

    "Eh, eh" fece l’avvocato "i miei timori concordano con i tuoi. Temo che il male sia stato l’origine - e male senza dubbio doveva derivarne - di quella reazione. Ti credo, ti credo senz’altro; credo che il povero Henry sia stato ucciso, come credo che il suo assassino, per quale motivo Dio solo lo sa, sia ancora acquattato nella stanza della vittima. Bene, che il nostro nome sia vendetta. Chiama subito Bradshaw."

    Alla chiamata accorse il valletto16, pallidissimo e nervoso.

    "Fatti animo, Bradshaw" lo esortò l’avvocato. "Questo stato di tensione, lo so benissimo, logora i nervi a tutti voi; adesso, però, è nostra intenzione farla finita. Poole e io ci accingiamo a sfondare l’uscio del gabinetto. Se tutto dovesse risultare regolare, ho spalle abbastanza larghe per sopportare le conseguenze del mio gesto. Comunque, nell’eventualità che davvero qualcosa di anormale ci sia, e un malfattore cerchi di svignarsela dal retro, tu e lo sguattero dovete girare l’angolo e con un paio di buoni bastoni appostarvi alla porta del laboratorio. Avete dieci minuti per arrivarci."

    Bradshaw si allontanò e l’avvocato diede un’occhiata all’orologio.

    "E adesso, Poole, noi due andiamo al nostro posto" comandò.

    E, infilatosi l’attizzatoio sotto il braccio, si avviò per il cortile. La nuvolaglia aveva velato la luna, sicché il buoi era totale. Il vento, che penetrava solo a refoli e folate17 in quel profondo pozzo tra gli edifici, agitò la fiamma della candela, rendendo incerto il loro passo, finché non giunsero al riparo della sala anatomica, dove si sedettero in silenzio ad aspettare. Londra ronzava sommessa tutt’attorno; ma più vicino a loro, il silenzio era rotto soltanto da un rumore di passi che andavano su e giù per il pavimento del gabinetto.

    "Fa così tutto il giorno, signore" assicurò Poole. "Già, e anche gran parte della notte, e una pausa c’è solo quando dalla farmacia arriva un nuovo campione. Eh, solo una coscienza colpevole può essere a tal punto nemica del riposo! Oh, sì, signore, in ognuno di quei passi c’è tanto sangue malvagiamente versato! Ma ascolti ancora. Più vicino. Allunghi bene l’orecchio, signor Utterson. E mi dica: è proprio il passo del dottore, quello?"

    Il calpestio era leggero e irregolare e, per quanto molto lento, si avvertiva in esso un certo slancio: passi diversi, su questo non c’era dubbio, dall’andatura pesante, massiccia, di Henry Jekyll. Utterson sospirò.

    "E non hai sentito nient’altro?" chiese.

    Poole annuì.

    "Sì, una volta" rispose. "Una volta ho sentito quell’essere piangere."

    "Piangere? Come sarebbe?" interrogò l’avvocato, avvertendo un subitaneo brivido d’orrore.

    "Gemere come una donna o un’anima in pena" spiegò il maggiordomo. "Mi sono allontanato con quell’impressione in cuore, e veniva da piangere anche a me."

    Ormai i dieci minuti erano trascorsi. Poole riesumò18 l’ascia da sotto un mucchio di paglia da imballaggio; la candela venne piantata sul tavolo più vicino per far loro luce durante l’assalto, e tutti e due, trattenendo il respiro, s’accostarono al luogo in cui quel passo tenace continuava ad andare su e giù, su e giù nel silenzio della notte.

    "Jekyll" gridò Utterson con quanta voce aveva "desidero vederla!"

    Attese un istante, ma nessuna risposta gli giunse.

    "L’avverto, nutriamo dei sospetti sul suo conto, e io devo vederla e la vedrò" riprese. "Se non vuole con le buone, sarà con le cattive. E se rifiuta, impiegheremo la forza."

    "Utterson" rispose dall’interno una voce "per l’amor di Dio, abbia pietà."

    "Ah, questa non è la voce di Jekyll, è la voce di Hyde!" esclamò l’avvocato. "Giù l’uscio, Poole."

    Poole vibrò l’ascia; il colpo scosse l’edificio, la porta ricoperta di panno rosso sussultò su cardini e serratura. Un grido orrendo, come di animale in preda al terrore, uscì dal gabinetto. La scure calò di nuovo, ancora una volta i pannelli scricchiolarono, l’intelaiatura oscillò; quattro colte la lama cadde, ma il legno era tenace, il serramento di ottima fattura; porta frantumata cadde all’interno, sul tappeto.

    Gli assalitori, stupiti dalla loro stessa violenza e dal silenzio che era seguito, arretrarono di un passo e guardarono all'interno. Davanti a loro stava il gabinetto alla tranquilla luce della lampada, un bel fuoco ardeva e scoppiettava nel camino, il bollitore cantava la sua sommessa nenia, un paio di cassetti erano aperti, carte bene impilate stavano sulla scrivania e, accanto al fuoco, tutto era pronto per il tè: insomma, la si sarebbe detta la stanza più tranquilla e, non fosse stato per le vetrine piene di apparecchi chimici, la più normale che quella notte ci fosse a Londra.

    Proprio nel mezzo della stanza, giaceva il corpo di un uomo tutto contorto, ancora sussultante. Gli si accostarono in punta di piedi, lo rivoltarono sulla schiena, ed ebbero sott'occhio la faccia di Edward Hyde. Era vestito con abiti troppo ampi per lui, indumenti della misura del dottore; i muscoli del volto ancora gli si contraevano in una sembianza di vita, ma la vita se n'era volata via; e dalla fiala frantumata che serrava nella mano e dal forte odore di mandorle19 che stagnava nella stanza, Utterson arguì che si trovava al cospetto del cadavere d'un suicida.

    "Siamo arrivati troppo tardi" annunciò con tono grave "sia per salvare che per punire. Hyde se n'è andato per conto suo e non ci resta che trovare i resti del tuo padrone."

    La maggior parte dell'edificio era occupata dalla sala anatomica che prendeva quasi l'intero pianterreno e riceveva luce dall'alto, e dal gabinetto, che formava un piano a una estremità e dava sul cortile. Un corridoio collegava la sala anatomica alla porta sulla stradetta; e il gabinetto comunicava separatamente con questa per mezzo di un'altra rampa di scale. C'erano inoltre alcuni ripostigli bui e una spaziosa cantina, e l'avvocato e il domestico procedettero all'esame accurato di tutti quei locali. Per ognuno dei ripostigli bastò un'occhiata: erano vuoti e, a giudicare dalla polvere che cadeva dagli stipiti delle rispettive porte, da tempo non erano stati aperti. Quanto alla cantina, questa era zeppa delle più disparate cianfrusaglie, per lo più risalenti all'epoca in cui la casa apparteneva al chirurgo predecessore di Jekyll; e bastò loro spingerne l'uscio, per convincerli dell'inutilità di ulteriori ricerche, grazie al crollo della fitta cortina di ragnatele che per anni avevano occluso il vano. In nessun posto c'era traccia di Henry Jekyll, vivo o morto che fosse.

    Poole batté il piede sulle lastre di pietra del corridoio.

    "Deve essere sepolto qui" sostenne ascoltandone l'eco.

    "Può anche essere fuggito" fece osservare Utterson, e passò a esaminare la porta che dava sul vicolo. Era chiusa; e sul pavimento, accanto a essa, rinvennero la chiave già macchiata di ruggine.

    "Non si direbbe che sia stata usata" osservò l'avvocato.

    "Usata!" ripeté Poole. "Ma non vede che è rotta, signore? Si direbbe che qualcuno l'abbia calpestata."

    "Già" constatò Utterson. "E anche i punti in cui è infranta sono arrugginiti."

    I due si guardarono preoccupati.

    "Questo trascende20 le mie capacità di comprensione, caro Poole commentò poi l'avvocato. "Torniamo nel gabinetto."

    Risalirono in silenzio la scala e, di tanto in tanto scoccando un'occhiata sgomenta al cadavere, procedettero a un esame più accurato del contenuto della stanza. Su una tavola c'erano tracce di esperimenti chimici, in varie bacinelle di vetro erano state versate dosi variabili di un sale bianco, lo si sarebbe detto un tentativo che l'infelice aveva dovuto lasciare a mezzo.

    "Quello è il preparato che gli portavo di continuo" indicò Poole; mentre così parlava, il bollitore traboccò con uno sfrigolio che li fece sobbalzare.

    Ciò li attirò al caminetto, dove una poltrona era stata piazzata nel punto più comodo e il servizio da tè era pronto, a portata di mano di chi l'avesse occupata, già con lo zucchero nella tazza. Su uno scaffale stavano diversi libri; uno di essi era aperto, accanto alla teiera, e Utterson fu sorpreso nel constatare che si trattava di un certo testo di teologia, per il quale Jekyll aveva più volte espresso grande ammirazione e che appariva annotato di suo pugno con incredibili propositi blasfemi21.

    Nel corso del loro esame, i due s'accostarono poi al grande specchio, nelle cui profondità affissarono lo sguardo con involontario orrore. Ma lo specchio era girato in modo da mostrare loro null'altro che il barbaglio rossastro riflesso sul soffitto, la fiamma ripetuta in cento repliche dalla superficie vitrea degli armadi a muro e i loro stessi volti, pallidi e spaventati, che si chinavano a guardarvi dentro.

    "Questo specchio ne deve aver viste, di cose strane, signore" sussurrò Poole.

    "E certamente nulla di più strano di se stesso" gli fece eco l'avvocato sullo stesso tono. "Perché mai Jekyll..." si interruppe di colpo, quindi, vincendo l'attimo di debolezza: "Insomma, che poteva farsene, Jekyll?" chiese.

    "Se non lo sa lei..." commentò Poole.

    Passarono poi all'esame della scrivania. Sul ripiano, tra le carte bene ordinate, spiccava una grande busta che recava, tracciato con la grafia del dottore, il nome del signor Utterson. L'avvocato l'aprì, e parecchi fogli ne piovvero sul pavimento. Il primo era un testamento, vergato negli stessi eccentrici22 termini di quello che l'avvocato aveva restituito sei mesi prima; esso valeva appunto come testamento in caso di morte e come atto di donazione in caso di scomparsa; ma in luogo del nome di Edward Hyde, l'avvocato, con suo indescrivibile stupore, lesse quello di Gabriel John Utterson. Guardò Poole, tornò con gli occhi al foglio, infine si posò sul malfattore stecchito sul tappeto.

    "Non ci capisco più niente" se ne uscì a dire. Quell'essere l'ha avuto tra le mani tutti questi giorni. Non aveva certo particolari ragioni di amarmi; doveva essere fuori di sé dalla rabbia per essere stato diseredato, eppure non ha distrutto questo documento."

    Diede poi di piglio al foglio successivo: un breve biglietto, anch'esso di pugno del dottore, in testa al quale si leggeva la data.

    "Ma Poole!" esclamò l'avvocato. "Il dottore era ancora vivo oggi, e si trovava qui. Non può essere stato fatto sparire in così breve tempo; deve essere ancora in vita, deve essere fuggito! Ma allora, perché è fuggito? E come? E in tal caso, possiamo azzardarci a dichiarare questo un suicidio? Ah, dobbiamo procedere con i piedi di piombo. Ho il presentimento che potremmo coinvolgere il tuo padrone in un'orrenda catastrofe."

    "Perché non lo legge, signore?" chiese Poole.

    "Perché ho paura" rispose con tono grave l'avvocato. "Ma Dio voglia che la mia paura sia immotivata!" e così dicendo si avvicinò il foglio agli occhi, e lesse quanto segue:

    "Mio caro Utterson quando questa sarà in mani sue, io sarò scomparso, in quali circostanze non so e non posso prevedere; ma il mio istinto e tutte le congiunture23 di questa mia innominabile condizione mi dicono che la fine è certa e senz'altro prossima. Avanti dunque, e innanzitutto legga la relazione che Lanyon mi ha comunicato di aver affidato in sue mani; e se vuole saperne di più attinga alla confessione del

Suo indegno e infelice amico

Henry Jekyll"

 

    "C'è un altro plico?" chiese Utterson.

    "Eccolo, signore" rispose Poole mettendogli in mano una busta rigonfia, costellata di sigilli.

    L'avvocato se la infilò in tasca.

    "Se fossi in te, non farei parola di questo documento" disse. "Se il tuo padrone è fuggito o è morto, ne possiamo per lo meno salvare l'onore. Adesso sono le dieci; mi conviene andare a casa e leggere queste carte con calma; ma sarò di ritorno prima di mezzanotte, quando manderemo la polizia."

    Uscirono chiudendosi alle spalle la porta della sala anatomica, e Utterson, lasciando la servitù sempre radunata attorno al camino in anticamera, tornò nel suo ufficio per leggere le due relazioni destinate a svelare l'enigma.

1 ignominioso: vergognoso.

2 brama: desiderio molto forte.

3 calamità: sventura.

4 attanagliante angoscia: ansia e inquietudine tale da togliere il respiro.

5 piagnisteo isterico: lamento prolungato e pieno di agitazione.

6 riprovevole: inqualificabile, indegno.

7 imperiosità: autorità, piglio deciso.

8 sguattero: lavapiatti, aiuto del cuoco.

9 inflessione: tono, intonazione.

10 blatte: scarafaggi.

11 è cosa che … cielo: è cosa che fa spavento, che suscita orrore.

12 soleva: era solito, era abituato.

13 le emozioni … gli argini: le emozioni erano così intense da diventare incontrollabili, tanto che traspaiono nelle parole scritte di seguito nel testo.

14 piccato: offeso, risentito.

15 attizzatoio: asta metallica che serve a ravvivare il fuoco nel camino.

16 valletto: una specie di cameriere, di messo. In tempi in cui mancava il telefono, questo tipo di inserviente era molto importante per recapitare e ricevere messaggi urgenti.

17 a refoli e folate: a colpi di vento improvvisi o molto forti e prolungati.

18 riesumò: estrasse.

19 dal forte … mandorle: l'odore caratteristico del cianuro, un veleno potentissimo.

20 trascende: supera, va oltre.

21 blasfemi: pieno di brutture e oscenità.

22 eccentrici: incomprensibili , perché diversi da ciò che si fa normalmente.

23 congiunture: circostanze, avvenimenti.

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