Capitolo 10
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    Sono nato l'anno 18..., rampollo di ricca famiglia e dotato inoltre di eccellenti qualità, incline per natura all'operosità, pieno di rispetto per i miei simili saggi e buoni, e pertanto, come sarebbe stato lecito supporre, munito di ogni garanzia di un avvenire onorevole ed eccezionale. E in verità, il peggiore dei miei difetti era una certa impazienza e vivacità, la stessa che ha fatto la fortuna di molti ma che io ho sempre trovato difficile conciliare con il mio imperioso desiderio di andarmene a testa alta e di assumere, agli occhi del pubblico, un atteggiamento più autorevole dell'ordinario. Ne derivò che io tenessi segreti i miei piaceri; e che, quando raggiunsi l'età della riflessione e presi a guardarmi attorno e a tendere un bilancio dei miei progressi e della mia posizione nel mondo, mi trovai già coinvolto in una radicale duplicità dell'esistenza. Più di un mio simile si sarebbe addirittura fatto un vanto di quelle sregolatezze di cui ero colpevole; ma sulla scorta dell'elevato metro di misura1 che mi ero imposto, io le consideravo, e le celavo, con un sentimento di vergogna poco meno che morboso. È stata pertanto più l'esigente natura delle mie aspirazioni, che non un qualsivoglia particolare cedimento ai miei errori, a farmi quel che ero e che, scavando uno iato2 più profondo di quanto non sia nella maggior parte degli uomini, ha scisso3 in me questi ambiti del bene e del male che insieme dividono e compongono la natura dualistica4 dell'uomo. Nel caso specifico, ero indotto a riflettere, profondamente, cocciutamente, su quella spietata legge della vita5 che sta alla radice della religione e costituisce una delle più copiose sorgenti di angoscia. Benché così sostanzialmente doppio, ero lungi dall'essere un ipocrita: l'una e l'altra delle mie metà erano assolutamente sincere; ero sempre me stesso, sia che accantonassi il riserbo e sprofondassi nella vergogna, sia che mi affaticassi, alla luce del giorno, per il progresso della conoscenza e il sollievo del dolore e della sofferenza. E accadde che l'indirizzo dei miei studi scientifici, volto interamente al mistico6 e al trascendentale, si ribaltasse a gettare una vivida luce su questa coscienza della perenne guerra tra i miei componenti. Giorno per giorno, e secondo ambo7 gli aspetti del mio intelletto, l'etico8 come lo speculativo9, io in tal modo sempre più m'avvicinavo a quella verità, dalla cui parziale scoperta sono stato condannato a così spaventoso naufragio: e cioè che l'uomo non è in verità unico, e che in verità è duplice. E dico duplice perché l'ambito della mia conoscenza non va al di là di questo. Altri seguiranno, altri mi sopravanzeranno lungo questa strada; e azzardo l'ipotesi che l'uomo infine sarà riconosciuto come un mero insieme di molteplici, incongrue10 e indipendenti entità. Da parte mia, secondo la natura della mia esistenza, ho proceduto infallibilmente in una direzione, e in quella sola. Fu lungo il versante morale, e nella mia stessa persona, che imparai a riconoscere la totale e costitutiva dualità dell'uomo; ho constatato che, delle due nature che si contendevano il campo della mia coscienza, anche se avessi potuto a ragion veduta affermare di essere l'una o l'altra, ciò sarebbe stato semplicemente perché ero, radicalmente, entrambe; e fin dalla più giovane età, prima ancora che il corso delle mie scoperte scientifiche avesse cominciato a suggerirmi anche la semplice possibilità di un simile miracolo, avevo preso a crogiolarmi, come in un amabile sogno a occhi aperti, nel pensiero della separazione di tali elementi. Se ciascuno di essi, mi dicevo, potesse semplicemente essere accolto in separata identità, la vita sarebbe alleviata di tutto quanto ha di intollerabile; l'ingiusto potrebbe andarsene per la sua strada, sgravato dalle aspirazioni e dai rimorsi del suo più onesto gemello; e il giusto potrebbe procedere tranquillo e sicuro per la sua strada in salita, facendo le buone cose in cui trova il proprio piacere, non più esposto all'onta11 e al pentimento per mano del male a lui estraneo. Era la maledizione dell'umanità che questi contrastanti fardelli12 fossero così legati assieme, che nel torturato grembo della coscienza questi due contraddittori gemelli fossero in perenne lotta. E dunque, come fare a dissociarli?

    Ero a questo punto delle mie riflessioni, quando, come ho detto, dal mio tavolo di laboratorio una luce sbieca cominciò a proiettarsi sul problema. Potei allora appercepire13, più acutamente di quanto non sia mai stato dato, la tremula immaterialità, la nebbiosa transitorietà14 di questo corpo apparentemente così solido, paludati15 del quale ci aggiriamo. Certi agenti, trovai, avevano il potere di scuotere e di svellere16 quel carneo17 rivestimento, così come il vento può abbattere i teli di una tenda. Per due ragioni, non mi inoltrerò negli aspetti scientifici della mia confessione. In primo luogo, perché sono stato educato a ritenere che la sorte e il gravame18 della nostra vita siano per sempre addossati alle spalle dell'uomo; e quando ci si prova a scrollarseli di dosso, non facciano che ricaderci sopra con più sgradevole e spaventosa oppressione. In secondo luogo, perché, come il mio resoconto, ahimè, comproverà fin troppo chiaramente, le mie scoperte erano incomplete. Basti quindi dire che non solo riconobbi il mio corpo naturale quale mera emanazione e irradiazione di alcuni dei poteri che componevano il mio spirito19, ma riuscii a elaborare un preparato grazie al quale tali poteri avrebbero potuto essere detronizzati dalla loro supremazia20 e sostituiti da una seconda forma e aspetto, che mi riuscivano non meno naturali in quanto erano l'espressione, e recavano il marchio, dei più vili elementi della mia anima.

    A lungo esitai prima di porre al banco di prova della pratica questa teoria. Ben sapevo che rischiavo la morte; perché ogni preparato, che con tale forza controllasse e scuotesse la roccaforte stessa dell'identità21, avrebbe potuto, per una minimissima eccedenza nella dosatura o per un infinitesimale inconveniente al momento della somministrazione, spazzar via completamente quel tabernacolo immateriale22 che mi proponevo di cangiare. Ma la tentazione di una scoperta così singolare e radicale finì per vincere le voci della prudenza. Da un pezzo avevo confezionato la mia mistura; senza frapporre indugi comprai, da un grossista di prodotti farmaceutici, una gran quantità di un certo sale che, lo sapevo dai miei esperimenti, era l'ultimo ingrediente necessario; e, nel cuore di una maledetta notte, unii gli elementi, li guardai bollire e fumare mescolati nel bicchiere e, placatasi l'ebollizione, con disperato empito di coraggio scolai la pozione.

    Avvertii dolori lancinanti: uno scricchiolio delle ossa, una nausea mortale, mentre il mio spirito era colto da un orrore quale può provarsi solo nell'attimo della nascita o della morte Poi, questa agonia rapidamente decrebbe e io tornai in me come se uscissi da una grave malattia. V'era alcunché di strano nelle mie sensazioni, qualcosa di ineffabilmente23 nuovo e, appunto per la sua novità, incredibilmente dolce. Mi sentivo più giovane, più leggero, di membra più felici; dentro di me avvenivo un'inebriante noncuranza, una corrente di disordinate immagini sensuali che tumultuavano, come in una gora di mulino, nell'immaginazione, un dissolversi dei vincoli del dovere, una sconosciuta ma non innocente libertà dell'animo24. Mi seppi, fin dal primo vagito di quella nuova vita, più malvagio, dieci volte più malvagio, schiavo venduto al mio peccato originale25; e il pensiero, in quell'istante, mi inebriò e deliziò come vino. Tesi le braccia, esultante per la freschezza di tali sensazioni; e nel gesto, subitaneamente mi avvidi di aver perduto in statura.

    Non c'era uno specchio, all'epoca, nel mio gabinetto; quello che mi sta davanti mentre scrivo vi è stato portato più tardi, e proprio in relazione a tali metamorfosi. La notte, tuttavia, da un pezzo s'era di molto inoltrata nel mattino - il mattino, per nero che fosse, era quasi maturo per concepire il giorno - e gli abitanti della mia casa erano ancora impastoiati26 nelle ore del sonno più denso; e io decisi, esaltato com'ero dalla speranza e dal trionfo, di avventurarmi, nella mia nuova forma, sino alla stanza da letto. Attraversai il cortile, e dall'alto le costellazioni guardavano, devo aver pensato, con stupore me, la prima creatura di quella specie che l'insonne vigilanza avesse svelato loro; scivolai per i corridoi, straniero in casa mia. E giunto nella mia camera, vidi per la prima volta il sembiante di Edward Hyde.

    Qui devo limitarmi a parlare in via teorica27; dicendo non già quel che so, bensì quel che ritengo essere più probabile. La parte malvagia della mia natura, alla quale avevo ora conferito il marchio dell'efficacia28, era meno robusta e meno sviluppata che non la buona che avevo testé dimesso29. Ancora, nel corso della mia vita che a conti fatti era stata per nove decimi di sforzi, virtù e disciplina, essa parte era stata assai meno esercitata e assai meno sfruttata. Donde, ritengo, il fatto che Edward Hyde fosse tanto più piccolo, più sottile e giovane di Henry Jekyll. Come la bontà risplendeva dal volto dell'uno, così il male stava scritto, a chiare, ampie lettere, in viso all'altro. Inoltre il male (che ancora non posso non reputare la parte letale30 dell'uomo) aveva impresso su quel corpo un marchio di deformità e corruzione. Eppure, quando guardavo quell'orrido idolo31 nello specchio, nulla32 repugnanza avvertivo, anzi piuttosto un affiato33 di sollievo. Anche quello ero io. Sembrava naturale e umano. Ai miei occhi, era un'immagine più viva dello spirito, pareva più immediata e precisa che non il sembiante34 imperfetto e diviso che fino a quel momento ero stato accostumato a dire mio. E in tanto35, avevo indubbiamente ragione. Ho osservato che, quando vestivo i tratti di Edward Hyde, nessuno poteva avvicinarmisi senza un visibile moto di diffidenza. Questo, a mio avviso, perché ogni essere umano, quale ci è dato incontrare, è un coacervo36 di bene e male: e Edward Hyde, lui solo di tutta l'umanità, era puro male.

    Rimasi solo un istante allo specchio: il secondo e conclusivo esperimento doveva ancora essere compiuto; restava ancora da vedere se avevo perduto la mia identità senza possibilità di recupero e se quindi non fossi costretto a fuggire, prima della luce del giorno, da una casa non più mia; e, rientrato in gran fretta nel mio gabinetto, ancora una volta preparai e bevvi la pozione, ancora una volta patii i tormenti della dissoluzione, e tornai ancora una volta in me con il carattere, la statura e il volto di Henry Jekyll.

    Quella notte ero giunto al bivio fatale. Se mi fossi atteggiato nei confronti della mia scoperta con animo più elevato, se avessi osato l'esperimento sotto l'imperio di generose o pie aspirazioni37, tutto sarebbe di certo andato altrimenti, e da quelle agonie di morte e nascita sarei uscito angelo anziché demonio. Il preparato non era dotato di azione discriminante38; non era diabolico, non era divino; scuoteva la porta del carcere della mia indole; e, come i prigionieri di Filippi39, quello che era chiuso dentro evadeva. All'epoca, la mia virtù sonnecchiava; la mia malvagità, tenuta desta dall'ambizione, era all'erta, pronta a cogliere ogni occasione; e ciò che ne derivò fu Edward Hyde. Sicché, per quanto avessi ora due caratteri così come due sembianti, l'uno era totalmente malvagio, l'altro era tuttora il vecchio Henry Jekyll, quell'incongruo miscuglio, della cui correzione e miglioramento avevo già imparato a disperare. Per cui, la tendenza era tutta verso il peggio.

    All'epoca, non ero ancora neppure riuscito a vincere la mia avversione all'aridità di una vita di studio. A volte ero tuttora d'una disposizione d'animo lieve e giocosa; e siccome i miei piaceri erano (per non dir peggio) indecorosi40, e io ero non solo ben noto e assai considerato, ma anche prossimo all'età matura, quest'incoerenza del mio modo di vivere giorno per giorno si faceva più disagevole. Ecco la ragione per cui il mio nuovo potere mi tentò finché caddi in sua balia41. Non avevo che da bere la pozione per smettere di colpo le spoglie42 dello stimato professore e assumere, a guisa di spesso mantello, quelle di Edward Hyde. L'idea mi sorrideva; all'epoca mi sembrava divertente; e feci i miei preparativi con la cura più minuziosa. Acquistai e arredai quella casa a Soho, dove la polizia andò a braccare Hyde; e assunsi come governante una donna che ben sapevo di poche parole e di scarsi scrupoli. D'altro canto, comunicai alla mia servitù che un certo signor Hyde, di cui fornii la descrizione, doveva avere piena libertà e autorità nella mia casa sulla piazzetta; e, onde prevenire inciampi43, mi feci vedere, mi resi familiare nella mia seconda versione. Quindi scrissi quel testamento a proposito del quale lei ha sollevato tante obiezioni; per modo che, se qualcosa mi fosse accaduto nei panni del dottor Jekyll, avrei potuto entrare in quelli di Edward Hyde senza danni finanziari. E così protetto, come supponevo, da ogni parte, cominciai a trar profitto dalle sorprendenti immunità44 della mia condizione.

    Un tempo certuni assoldavano bravi45 i quali dessero esecuzione ai loro crimini, la loro persona e reputazione restando al riparo. Io ero il primo che potesse delinquere per il proprio piacere. Io ero il primo che potesse comparire in pubblico paludato di socievole rispettabilità46, e in un attimo, come uno scolaretto, sbarazzarsi di questi attributi e buttarsi a capofitto nel mare della libertà. Per me, nel mio impenetrabile mantello, la sicurezza era assoluta. Ci pensa? Neppure esistevo! Bastava che trovassi rifugio oltre la porta del mio laboratorio, che avessi un secondo o due per preparare e inghiottire la pozione che tenevo sempre pronta e, qualsiasi cosa avesse commesso, Edward Hyde sarebbe scomparso come l'appannatura lasciata dall'alito su uno specchio; e in sua vece, pacificamente in casa propria, intento a regolare la lampada accingendosi allo studio notturno, ecco un uomo il quale poteva permettersi di ridere dei sospetti, ecco Henry Jekyll.

    I piaceri che non persi tempo a cercare nel mio travestimento erano, come ho detto, indecorosi; non saprei a quale espressione più cruda far ricorso. Ma nelle mani di Edward Hyde ben presto cominciarono a deviare verso il mostruoso. Quando rincasavo da simili escursioni, spesso ero preda di una sorta di stupefazione47 per le depravazioni48 dell'altro me stesso. Colui che avevo evocato dalla mia stessa anima, che avevo mandato per il mondo a godersela, era una creatura sostanzialmente maligna e perversa; ogni suo atto e pensiero aveva a perno l'egoismo: si abbeverava al piacere con bestiale avidità per le torture, di qualsiasi entità, inflitte ad altri, era spietato quasi fosse di pietra. Henry Jekyll a volte restava sgomento di fronte agli atti di Edward Hyde; ma la situazione era così fuori dalle leggi consuete, che insidiosamente indeboliva la presa della coscienza49. Era Hyde, in fin dei conti, Hyde soltanto, il colpevole. Jekyll non ne rimaneva toccato; tornava alle sue buone qualità apparentemente incontaminato50, addirittura si affrettava, quando fosse possibile, di por rimedio alle malefatte di Hyde. E così, la sua coscienza cadeva in letargo.

    Nei particolari delle infamie di cui in tal modo fui complice (ché persino adesso mi riesce difficile ammettere di averle commesse) non desidero entrare; voglio solo sottolineare i presentimenti e le successive tappe verso il mio castigo. Mi capitò un incidente che, poiché fu privo di conseguenze, mi limiterò a menzionare. Un atto di crudeltà da me compiuto verso una bambina mi suscitò contro l'ira di un passante, che l'altro giorno seppi essere suo cugino; un medico e la famiglia della piccola gli si unirono; per qualche istante temetti per la mia vita; e finalmente, per placare il loro giusto risentimento, Edward Hyde fu costretto a portarli all'uscio del laboratorio e a versar loro un assegno firmato da Henry Jekyll. Ma un simile rischio venne facilmente eliminato, per quanto riguardava il futuro, con l'apertura di un conto presso un'altra banca, al nome di Edward Hyde stesso; e quando, alterando la mia grafia col renderla diritta, ebbi munito il mio doppio di una firma, mi reputai fuori dalla portata del destino.

    Circa due mesi prima dell'assassinio di Sir Danvers, ero uscito per una delle mie scorribande ed ero rincasato tardi; mi risvegliai il giorno successivo avvertendo strane sensazioni. Invano mi guardavo attorno; invano osservavo il mobilio elegante e le ampie proporzioni della mia camera sulla piazzetta; invano riconoscevo il disegno delle cortine51 del letto, la sua intelaiatura di mogano52; qualcosa continuava a proclamare che non ero là dov'ero, che non mi ero risvegliato dove in apparenza l'avevo fatto, bensì nella stanzetta di Soho dove avevo l'abitudine di dormire in sembiante di Edward Hyde. Sorrisi di me stesso e, fedele alla mia tendenza allo psicologismo53, presi ad analizzare pigramente gli elementi ditale illusione di tanto in tanto, pur mentre lo facevo, ripiombando in un confortevole torpore mattutino. Ero ancora occupato in queste attività quando, in un momento di maggior lucidità, gli occhi mi si posarono sulla mano. Ora, la mano di Henry Jekyll, come lei ha spesso avuto modo di constatare, era di forma e aspetto degni della mia professione: una mano grande, solida, bianca e ben fatta. Ma la mano che adesso vedevo, e con perfetta chiarezza, alla luce giallastra di una mezza mattina londinese, la mano che giaceva semichiusa sul lenzuolo, era magra, nodosa, di un livido pallore e fittamente cosparsa di peli scuri. Era la mano di Edward Hyde.

    Devo essere rimasto a fissarla per quasi mezzo minuto, sprofondato com'ero nella stupefazione della sorpresa, prima che il terrore all'improvviso mi si risvegliasse in petto, facendomi trasalire come uno scroscio di timpani54; e, balzato dal letto, mi precipitai allo specchio. Allo spettacolo che mi trovai di fronte, il sangue nelle mie vene si tramutò in qualcosa di estremamente lento e gelido. Sì, ero andato a letto quale Henry Jekyll e mi ero risvegliato Edward Hyde. Come spiegarlo? mi chiesi; e subito dopo, con un altro sussulto di terrore: come porvi rimedio? Era ormai mattina avanzata; i domestici erano già in piedi; i miei preparati erano tutti nel gabinetto, un lungo tragitto - due rampe di scale, il corridoio sul retro, il cortile aperto, la sala anatomica - dal luogo in cui me ne stavo orripilato55. Sarebbe stato certo possibile coprirmi il volto; ma a quale scopo, dal momento che non ero di sicuro in grado di celare l'alterazione della mia statura? E poi, con un travolgente senso di sollievo, mi sovvenni che i miei servitori erano già abituati a vedere andare e venire il secondo me stesso. In fretta mi vestii, meglio che potei, in abiti della mia misura; e poco dopo attraversai la casa, dove Bradshaw spalancò gli occhi e arretrò alla vista del signor Hyde a quell'ora e in quello strano arnese; e dieci minuti più tardi, il dottor Jekyll era tornato alla propria forma, e sedeva, le ciglia aggrottate, fingendosi intento alla colazione.

    Scarso invero era il mio appetito. Quell'inspiegabile incidente, quel capovolgimento delle mie precedenti esperienze sembrava, al pari della mano apparsa sulla parete del banchetto di Babilonia56, sillabare le lettere della mia condanna; presi a riflettere, più seriamente di quanto mai avessi fatto prima, sulle conseguenze e possibilità della mia doppia vita. Quella parte di me cui avevo potere di dar forma negli ultimi tempi era stata ampiamente esercitata e nutrita; mi era parso di recente che il corpo di Edward Hyde fosse cresciuto di statura, quasi che, quando ne rivestivo le spoglie, fossi conscio di un più rapido pulsare del sangue nelle vene; e cominciò a balenarmi il rischio che, se la situazione si fosse troppo prolungata, l'equilibrio della mia natura potesse venire definitivamente ribaltato, la capacità di trasformarmi a volontà essere messa in forse, il carattere di Edward Hyde diventare irrevocabilmente57 il mio. L'efficacia della pozione non sempre era la stessa. Una volta, proprio agli inizi dei miei esperimenti, era stata assolutamente nulla; da allora, in più di un'occasione mi ero visto costretto a raddoppiare la dose, e una volta, con gravissimo pericolo di morte, addirittura a triplicarla; e queste rare incertezze erano state sino ad allora le sole ombre sulla mia soddisfazione. Adesso però, alla luce di quell'incidente mattutino, ero indotto a concludere che, se all'inizio la difficoltà era consistita nello sbarazzarmi del corpo di Jekyll, negli ultimi tempi, lentamente ma inesorabilmente, essa aveva cominciato a spostarsi nell'altro senso. Tutto sembrava indicare che, pian piano, stavo perdendo il dominio del me stesso originario e migliore, lentamente incarnandomi nell'altro me stesso, il peggiore.

    Tra questi due, sentivo ormai di dover scegliere. Le mie due nature avevano in comune soltanto la memoria, laddove58 tutte le altre facoltà59 erano tra loro divise nella maniera più ineguale. Jekyll, che era un miscuglio, ora con esasperate apprensioni60 ora con avido piacere, immaginava e condivideva i piaceri e le avventure di Hyde; ma Hyde era indifferente a Jekyll, o tutt'al più si ricordava di lui come il brigante dei monti ricorda la caverna dove può nascondersi dagli inseguitori. Jekyll nutriva ben più che l'interesse di un padre, Hyde ben più che l'indifferenza di un figlio. Scegliere di essere Jekyll significava rinunciare a quegli appetiti61 di cui mi ero segretamente e per tanto tempo compiaciuto e verso i quali ultimamente avevo mostrato indulgenza. Optare per Hyde significava morire a mille interessi e aspirazioni e diventare, d'un tratto e per sempre, spregevole e senza amici. I due pesi sulla bilancia possono sembrare ineguali; ma c'era un'altra considerazione da fare: mentre Jekyll avrebbe atrocemente sofferto nelle fiamme dell'astinenza62, Hyde non avrebbe avuto neppure coscienza di quel che avrebbe perduto. Per singolare che fosse la mia posizione, i corni del dilemma63 sono vecchi e ovvi quanto l'uomo; gli stessi allettamenti, le stesse paure gettano il dado64 per ogni peccatore tentato e tremante; e mi accadde, come alla stragrande maggioranza dei miei simili, di scegliere la parte migliore - ma senza la forza per tenervi fede.

    Sì, preferii l'anziano e insoddisfatto medico, circondato da amici, che accarezzava oneste speranze; e diedi risolutamente l'addio alla libertà, alla relativa giovinezza al passo leggero, ai palpiti violenti e ai segreti piaceri di cui avevo goduto in veste di Hyde. Feci tale scelta forse con qualche inconscia riserva65, tant'è che non rinunciai alla casa di Soho né distrussi i panni di Edward Hyde, sempre a portata di mano nel mio gabinetto. Per due mesi, tuttavia, rimasi fedele alla mia determinazione; per due mesi condussi una vita austera come mai m'era riuscito prima, godendo delle gratificazioni66 di una coscienza tranquilla. Ma alla fine il tempo cominciò a offuscare l'evidenza dei miei timori; le lodi della coscienza cominciarono a diventare scipite67; mi sentii torturato da desideri e spasimi, come se Hyde lottasse per la libertà; e infine, in un'ora di debolezza mortale, una volta ancora composi e bevvi la pozione.

    Credo che, quando un beone68 ragioni con se stesso del proprio vizio, neppure una volta su cinquecento abbia occhi per i pericoli cui va incontro nel suo stato di abbrutimento fisico; né, per quanto avessi preso in esame la mia condizione, avevo tenuto abbastanza conto della totale insensibilità etica69 e dell'insensata propensione al male che erano le caratteristiche principali di Edward Hyde. Pure, fu da queste che mi venne la punizione. Il mio demone70 era stato troppo a lungo

    in gabbia, e ne irruppe71 ruggendo. Ero consapevole, già mentre inghiottivo la pozione, di una più sfrenata, di una più implacabile aspirazione al male. Deve essere stato questo, ritengo, a scatenare nel mio animo quell'impaziente furore con il quale prestai orecchio alle pacate parole della mia sventurata vittima72; per lo meno dichiaro, e Dio me ne sia testimone, che nessun uomo moralmente sano si sarebbe reso colpevole di un simile delitto per un così meschino movente; dichiaro che colpii in uno stato d'animo di non maggior ragionevolezza di quello di un bimbo malato che faccia a pezzi un balocco. Ma mi ero volontariamente sbarazzato di tutti quei freni inibitori73 grazie ai quali anche il peggiore tra noi riesce a navigare con una certa fermezza tra le tentazioni; e nel mio caso, essere tentato anche di pochissimo significava la caduta.

    Istantaneamente, lo spirito dell'inferno si risvegliò in me e imperversò. Con gioiosa foga percossi quel corpo che non opponeva resistenza, e ogni colpo era una delizia; e solo quando la stanchezza cominciò a farsi sentire, d'un tratto, all'acme74 del mio delirio, mi sentii pugnalare al cuore da un freddo brivido di paura. Fu come se una nebbia si aprisse; vidi la mia vita in pericolo; fuggii dal teatro di quegli eccessi75, insieme euforico e tremante. la mia libidine76 di male gratificata e stimolata, il mio amore per la vita portato al parossismo77.

    Corsi alla casa di Soho e, per maggior sicurezza, distrussi le mie carte; quindi presi a vagare per le strade alla luce dei lampioni, sempre nella stessa, contrastante esaltazione mentale, tripudiando78 per il mio crimine, a cuor leggero progettandone altri per l'avvenire, e tuttavia sul chi vive, costantemente con l'orecchio teso a cogliere i passi del vendicatore sulle mie peste79. Hyde aveva una canzone sulle labbra, mentre preparava la pozione, e bevendo brindò all'uomo ucciso. Ma i dolori della metamorfosi non avevano ancora cessato di lacerarlo, che già Henry Jekyll, con lacrime di gratitudine e di rimorso, era caduto sulle ginocchia e levava a Dio le mani giunte. Il velo dell'autocompiacimento80 si era lacerato da cima a fondo. Vidi la mia vita nella sua interezza; la ripercorsi dai giorni dell'infanzia, quando zampettavo tenuto per mano da mio padre, via via attraverso le ingrate fatiche della mia vita professionale, per tornar sempre, con la stessa sensazione di irrealtà, agli infernali orrori di quella sera. Devo aver gridato; tentavo, con lacrime e preghiere, di disperdere la folla di immagini e suoni odiosi con cui la memoria mi assaliva; pure, nel bel mezzo delle suppliche, l'orrenda faccia della mia iniquità continuava ad affissarmisi81 nell'anima. Come i rimorsi cominciarono a farsi meno strazianti, avvertii una sensazione di sollievo. Il problema della strada da seguire era risolto. Hyde era ormai al bando; che lo volessi o no, ero confinato nella parte migliore della mia esistenza e, oh, come gioii al pensiero! Con quanta premurosa umiltà tornai ad abbracciare le restrizioni della vita che era la mia! Con che atto di sincera rinuncia sbarrai la porta per la quale tanto spesso ero andato e venuto e schiacciai la chiave sotto il tacco!

    Il giorno dopo si diffuse la notizia che l'assassino era stato visto compiere il suo misfatto, che la colpevolezza di Hyde era comprovata e che la vittima era un uomo tenuto in alta considerazione. Non era stato solo un delitto, era stata una tragica follia. Fui lieto, penso, di apprenderlo; credo di essere stato felice che, a sostegno e a difesa dei miei migliori impulsi, vi fosse la paura del patibolo82. Jekyll era ormai la cittadella in cui rifugiarmi; se Hyde ne avesse fatto capolino anche solo un istante, subito mani si sarebbero levate ad afferrarlo e a spacciarlo83.

    Decisi di redimere84 il passato con la mia condotta futura; e posso dire, in tutta sincerità, che la mia decisione portò qualche buon frutto. Sa bene lei stesso con quanta diligenza negli ultimi mesi dello scorso anno mi sia dedicato ad alleviare sofferenze; sa che molto ho fatto per altri, e che per me le giornate trascorrevano tranquille, quasi felici. Né posso dire, in verità, che quest'esistenza benefica e innocente mi pesasse; credo invece che ogni giorno ne godessi più compiutamente; ero però pur sempre torturato dalla dicotomia85 dei miei propositi e, via via che l'acutezza del mio pentimento si smussava, la parte inferiore di me, con cui tanto a lungo ero stato indulgente e che solo da poco avevo messo in ceppi86, cominciò a pretendere ringhiando di essere affrancata87. Non che neppure mi sognassi di resuscitare Hyde; la semplice idea mi dava la vertigine: no, era nella mia stessa persona che, ancora una volta, ero tentato di trastullarmi con la mia coscienza; e fu come chi pecca in segreto, che finalmente caddi sotto gli assalti della tentazione.

    Ogni cosa viene a termine; anche la misura più capace88 a lungo andare è colma; e quella breve condiscendenza alla mia malvagità, alla fine, distrusse l'equilibrio del mio animo. Pure, non ne fui allarmato; la caduta sembrava naturale, quasi un ritorno ai vecchi tempi prima della mia scoperta. Era una bella, limpida giornata di gennaio, e sotto il piede si sentiva l'umido del ghiaccio che si scioglieva; in cielo, neppure una nuvola; e Regent's Park89 era pieno di scricchiolii invernali e dolce di odori primaverili. Mi sedetti al sole su una panchina, la belva dentro di me intenta a leccarsi memore le labbra; la parte spirituale sonnecchiava un tantino, promettendo successivo pentimento, ma per il momento non sì decideva a entrare in azione. A conti fatti, pensavo, ero come tutti i miei simili; e allora sorrisi, paragonandomi agli altri, paragonando la mia attiva buona volontà alla pigra crudeltà della loro indifferenza. E nello stesso istante in cui ero preda di quel vanaglorioso90 pensiero, fui colto da un malessere, un'orrida nausea e un tremito di morte. Passarono, lasciandomi esausto; e poi, a sua volta, anche la debolezza se ne andò, e cominciai ad aver coscienza di un mutamento intervenuto nella tempra91 dei miei pensieri, di un maggior ardimento, di uno sprezzo del pericolo, di un venir meno degli imperativi92. Mi guardai; le mie vesti pendevano senza forma dalle mie membra rattrappite; la mano che tenevo sul ginocchio era nocchiuta93 e pelosa. Ero tornato a essere Edward Hyde. Un istante prima avevo potuto contare con sicurezza sull'altrui rispetto, ero ricco, amato, nella sala da pranzo a casa m'attendeva la tavola apparecchiata; e ora, eccomi selvaggina perseguita dall'intera umanità, senza un tetto, assassino riconosciuto, pendaglio da forca94.

    La mia ragione vacillò, ma non mi abbandonò del tutto. Più di una volta avevo avuto modo di notare che, nella mia seconda persona, le facoltà sembravano più affilate e aguzze, i miei spiriti più tesi ed elastici; e così accadde che, dove forse Jekyll avrebbe potuto soccombere, Hyde seppe essere all'altezza della situazione. Le mie pozioni erano in uno degli armadi a muro del mio gabinetto: come fare a raggiungerle? Tale il problema che, stringendomi le tempie tra le mani, mi accinsi a risolvere. La porta del laboratorio l'avevo chiusa. Se avessi cercato di entrare in casa dall'ingresso principale, i miei stessi domestici mi avrebbero consegnato al patibolo. Mi resi conto che dovevo servirmi di un intermediario, e pensai a Lanyon. Ma come mettermi in contatto con lui? Come persuaderlo? Anche ammettendo che riuscissi a sottrarmi alla cattura per le strade, come fare per giungere al suo cospetto95? E come avrei potuto, io, ignoto e sgradito visitatore, convincere il medico famoso ad andare a rovistare nello studio del suo collega, il dottor Jekyll? Mi sovvenni96 allora che, del mio originario carattere, un frammento mi restava: potevo scrivere con la mia grafia; e, non appena intravisto quel barlume, il cammino che dovevo seguire mi apparve da cima a fondo rischiarato.

    Sul che, mi sistemai gli abiti alla meno peggio e, chiamata una carrozza di passaggio, mi feci condurre a un albergo di Portland Street97, di cui per caso mi sovvenni il nome. Al mio aspetto - ed era comico invero, per quanto tragico il destino che quei panni ricoprivano - il vetturino non poté nascondere il riso. Risposi con un digrignare di denti di così diabolico furore, che il sorriso gli scomparve dalla faccia: fortunatamente per lui, e più fortunatamente ancora per me, perché, ancora un istante, e l'avrei certamente buttato giù di serpa98. All'entrare nella locanda, mi guardai attorno con occhio così truce, che il personale tremò; non osarono scambiarsi sguardi in mia presenza, ma ossequiosamente obbedirono ai miei ordini, mi accompagnarono in una saletta privata, mi portarono l'occorrente per scrivere. Hyde in pericolo di vita era per me una creatura nuova: agitato da un'ira inconsulta, spinto sull'orlo dell'assassinio, bramoso di infliggere dolore. Ma la creatura era astuta; dominò il proprio furore con un grande sforzo di volontà; compilò due lunghe lettere, una per Lanyon, una per Poole; e, per avere la conferma che partissero, mandò a spedirle raccomandate.

    Dopo di che, tutto il giorno stette a rimuginare al fuoco della saletta privata, rosicchiandosi le unghie; lì cenò, solo con le sue paure, e il cameriere strisciava addirittura sotto i suoi sguardi; quindi, quando la notte fu fonda, si rattrappì in fondo a una carrozza chiusa, e fu portato qua e là per le strade della metropoli. Lui, dico, non posso dire io. Quel figlio dell'inferno non aveva nulla di umano; nulla v'era in lui che non fosse paura e odio. E quando finalmente, pensando che il vetturino avesse cominciato a insospettirsi, rimando la carrozza e procedette a piedi, sempre con indosso i suoi panni fuori misura, tanto da essere un oggetto di curiosità per i passanti notturni, quelle due basse passioni infuriarono dentro di lui come tempesta. Andava di fretta, perseguito dalle sue paure, parlando tra se, sgusciando per le vie meno frequentate, contando i minuti che ancora lo separavano dalla mezzanotte. A un certo punto, una donna gli rivolse la parola, offrendogli, se non vado errato, una scatola di fiammiferi. Lui la colpì in pieno viso e quella fuggì.

    Quando tornai a essere me stesso in casa di Lanyon, l'orrore dipinto sul volto del mio vecchio amico dovette, penso, colpirmi: non lo so con precisione, fu null'altro che una goccia nel mare del disgusto con cui riandai alle ore passate. Un cambiamento era avvenuto in me. A tormentarmi non era più la paura della forca, bensì il raccapriccio all'idea di essere Hyde. Mezzo trasognato99 prestai orecchio alla sentenza di Lanyon100; e fu mezzo trasognato che tornai in casa mia e mi cacciai a letto. Dormii, dopo le peripezie della giornata, d'un sonno invincibilmente profondo, sì che neppure gli incubi che mi assalirono valsero a interromperlo. Mi ridestai il mattino dopo, scosso, debole ma rinfrancato. Ancora odiavo e temevo il pensiero del bruto che sonnecchiava dentro di me, e naturalmente non avevo certo scordato gli spaventosi pericoli del giorno prima; ma ero una volta ancora a casa mia, sotto il mio tetto, vicino alle mie pozioni; e il sollievo per essermela cavata era così prepotente, nel mio animo, da rivaleggiare quasi con la luce della speranza.

    Dopo colazione stavo attraversando lemme lemme101 il cortile, inalando con piacere la freschezza dell'aria, quando fui colto da quelle indescrivibili sensazioni che preannunciavano la metamorfosi; ebbi appena il tempo di mettermi al riparo nel mio gabinetto, che fui nuovamente preda delle furiose, frenetiche passioni di Hyde. Mi ci volle una dose doppia, questa volta, per ritornare in me; e ahimè, sei ore dopo, mentre sedevo a fissare tristemente la fiamma del camino, gli spasimi si ripeterono e dovetti risomministrarmi la pozione. Per farla breve, a partire da quel giorno fu solo a prezzo di un grande, quasi funambolico102 sforzo, e soltanto sotto lo stimolo immediato della pozione, che riuscii a portare la maschera di Jekyll. A tutte le ore del giorno e della notte ero colto dal brivido premonitore; soprattutto se dormivo, o anche solo sonnecchiavo per pochi istanti sulla poltrona, era sempre nelle sembianze di Hyde che mi svegliavo. Sotto la minaccia di questa spada di Damocle103 senza posa incombente, e a causa dell'insonnia alla quale dovetti condannarmi, un insonnia quale mai avrei potuto supporre tollerabile per un uomo, divenni, nella mia propria persona, una creatura smangiata104 e svuotata dalla febbre, debole e lassa105 nel corpo e nella mente, ossessionata da un unico pensiero: la ripugnanza per l'altro mio essere. Ma quando dormivo o quando gli effetti dell'intruglio si attenuavano, ecco che precipitavo quasi senza transizioni106 (ché gli spasimi della metamorfosi di giorno in giorno si facevano meno sensibili) in preda a un'allucinazione ridondante di immagini di terrore107, anima ribollente di odi immotivati, corpo che non sembrava forte abbastanza da contenere quelle furiose energie vitali. I poteri di Hyde parevano essere stati accresciuti dall'infermità di Jekyll. E senza dubbio l'odio che adesso li separava era uguale d'ambo le parti. In Jekyll, era una questione di istinto vitale. Ormai aveva scorto tutt'intera la deformità di quella creatura con cui condivideva alcuni fenomeni della coscienza, e con lui era coerede108 della morte; e, al di là di questi legami di comunanza. che di per sé costituivano la parte più pregnante109 della sua angoscia, pensava a Hyde, nonostante tutta l'energia vitale di questo, come a un'entità, non solo infernale, bensì inorganica. Questa era la cosa stupefacente: che la melma del fondo potesse emettere grida e voci; che la polvere amorfa110 gesticolasse e peccasse; che ciò che era morto, non plasmato111, potesse usurpare le funzioni della vita. Di più che quell'orrore ribelle fosse unito a lui più strettamente che una sposa, più che un occhio; che fosse ingabbiato nella sua carne, dove lo udiva brontolare e agitarsi per venire alla luce; e che in ogni istante di debolezza, e nell'abbandono del sonno, prevalesse su di lui, lo detronizzasse della vita112. L'odio di Hyde per Jekyll era di un altro ordine. La sua paura della forca lo induceva di continuo a commettere un temporaneo suicidio, a tornare a essere parte subordinata anziché persona a sé stante; ma aborriva113 tale obbligo, detestava l'accasciamento114 di cui ora Jekyll era preda, si risentiva dell'ostilità di cui si vedeva adesso fatto oggetto. Donde le burle scimmiesche che gli giocava, scarabocchiando con la mia grafia propositi blasfemi sulle pagine dei miei libri, bruciando le lettere e distruggendo il ritratto di mio padre; e invero, non fosse stato per la sua paura della morte, da un pezzo si sarebbe procurato rovina giusto per coinvolgermi nel disastro. Ma il suo attaccamento alla vita è straordinario; dirò di più: io, che mi sento male, che mi sento gelare al semplice pensiero di lui, quando mi sovvengo dell'abiezione115 e del furore dì quel suo attaccamento alla vita, quando mi rendo conto di quanto grande sia la sua paura per la capacità che ho di farlo sparire con il suicidio, in fondo al cuore mi sorprendo a provarne pietà.

    È vano - il mio tempo sta per scadere - prolungare questa descrizione; nessuno mai ha sofferto tormenti tali, e altro non dico; eppure anche a questi dall'abitudine mi veniva, no, non dico sollievo, bensì una certa insensibilità dell'animo, una certa acquiescenza116 della disperazione; e la mia punizione sarebbe potuta durare per anni, non fosse per quest'ultima sciagura che mi è accaduta, e che definitivamente mi ha avulso117 dal mio sembiante e dalla mia natura. La mia provvista del sale, mai rinnovata dopo il primo esperimento, ha cominciato a scemare. Ne ho fatto acquistare altri quantitativi, ho preparato la pozione; si è verificata l'ebollizione e il primo mutamento di colore, non però il secondo; l'ho bevuta, ed è rimasta senza effetto. Poole potrà dirle che ho fatto battere in lungo e in largo Londra; invano; e sono adesso convinto che la mia provvista iniziale fosse impura, e che sia stata proprio l'ignota impurità a conferire il suo potere alla miscela.

    È trascorsa quasi una settimana e sto ultimando questa relazione sotto l'influenza dell'ultimo residuo delle vecchie polveri. Sicché questa è l'ultima volta, a meno di un miracolo, che Henry Jekyll può pensare i suoi propri pensieri e scorgere il proprio volto (quanto tristamente alterato ormai!) nello specchio. Non posso indugiare a lungo a porre fine al mio scritto, perché se finora il mio rapporto è sfuggito alla distruzione, ciò è stato insieme effetto di grande cautela e di straordinaria fortuna. Ma se i dolori della metamorfosi dovessero assalirmi mentre lo sto vergando, Hyde lo farebbe a pezzi; se invece, dopo che lo avrò finito, trascorrerà un po' di tempo, il sorprendente egoismo di Hyde e la sua esclusiva preoccupazione per il momentaneo, ancora una volta probabilmente salveranno lo scritto dagli effetti della sua scimmiesca malevolenza. E a vero dire, il destino che si sta serrando addosso a noi due ha già mutato e domato Hyde. Tra una mezz'ora, quando per l'ultima volta sarò tornato ad assumere per sempre quell'odiosa personalità, so che resterò a tremare e piangere nella mia poltrona oppure continuerò a camminare su e giù per questa stanza (estremo mio rifugio terreno), tendendo disperatamente e peritosamente118 l'orecchio per cogliere ogni suono minaccioso. Hyde morirà sul patibolo? O troverà il coraggio all'ultimo momento, di liberare se stesso? Dio solo lo sa; io non me ne curo più; questa è l'ora della mia vera morte, e quanto accadrà dopo concerne altri, non me.

    A questo punto, dunque, mentre depongo la penna e mi appresto a suggellare la mia confessione, metto fine alla vita dell'infelice Henry Jekyll.

 

1 metro di misura: modo di considerare e valutare le mie azioni.

2 iato: frattura, separazione.

3 ha scisso: ha separato profondamente.

4 dualistica: doppia. Allude al fatto che nell’uomo coesisterebbero due inclinazioni: una a compiere il "bene" un’altra a comportarsi "male", seguendo i propri istinti.

5 quella … vita: per la religione, in genere, si trovano sia i principi ispirati del bene che l’irrefrenabile istinto del male. Quindi egli ha una doppia natura.

6 mistico: tutto ciò che è misterioso, quasi inconoscibile.

7 ambo: ambedue (cioè tutti e due).

8 etico: "morale"; quello che ha a che fare con le scelte individuali, i comportamenti e le regole che li determinano, rendendoli accettabili socialmente.

9 speculativo: razionale; quello che riguarda più specificatamente la ricerca e la riflessione razionale sui fenomeni.

10 incongrue: incoerenti, contraddittorie.

11 all’onta: alla vergogna.

12 fardelli: carichi pesanti e fastidiosi.

13 appercepire: percepire con grande evidenza.

14 transitorietà: precarietà (come per dire "inconsistenza").

15 paludati: rivestiti, ricoperti.

16 svellere: strappar via, far sparire.

17 carneo: di carne.

18 gravame: pesantezza, difficoltà.

19 quale mera emanazione … il mio spirito: Jekyll ritiene che il corpo sia una diretta derivazione, quasi una manifestazione visibile, dei poteri del suo animo.

20 essere … supremazia: essere limitati nel loro influsso diretto sulla persona.

21 la roccaforte … identità: l’identità di ogni persona è una roccaforte, qualcosa cioè di inafferrabile, di inespugnabile.

22 tabernacolo immateriale: espressione che allude alla radice misteriosa, inconoscibile, della propria identità personale, del proprio essere. Tabernacolo richiama la nicchi oscura e inaccessibile che nella chiesa custodisce l’Eucarestia.

23 ineffabilmente: in modo indescrivibile, impossibile da raccontare.

24 un’inebriante noncuranza … libertà dell’animo: Jekyll sta rivelando le sensazioni che prova, nelle quali è prevalente l’esaltante assenza di preoccupazioni per le regole sociali e morali da rispettare.

25 schiavo … originale: Jekyll si sente "non innocente" in questo stato di totale libertà dell’animo.

26 impastoiati: completamente avvolti.

27 in via teorica: facendo delle ipotesi, delle supposizioni.

28 il marchi dell’efficacia: Jekyll le aveva dato consistenza di corpo, di persona vera e propria.

29 che … dimesso: che aveva appena abbandonato, trasformandomi in Hyde.

30 letale: mortale, distruttiva.

31 idolo: immagine, vuoto simulacro.

32 nulla: nessuna.

33 un afflato: un soffio (una sensazione).

34 sembiante: aspetto fisico.

35 in tanto: in questo soltanto, limitatamente a ciò.

36 coacervo: accozzaglia, ammasso disordinato.

37 se avessi … aspirazioni: se fossi stato spinto da un impulso irresistibile causato da aspirazioni virtuose.

38 non…discriminante: non distingueva di per sé tra bene e male; dalla trasformazione emergeva perciò la personalità "buona o quella "malvagia" a seconda delle intenzioni prevalenti di chi operava l’esperimento.

39 Filippi: città della Macedonia, in Grecia, da cui sarebbero fuggiti, in seguito ad un terremoto due apostoli.

40 indecorosi: vergognosi, sconvenienti.

41 in sua balia: sotto la sua autorità assoluta.

42 spoglie: fattezze, fisionomia.

43 inciampi: ostacoli.

44 immunità: privilegio che permette di sottrarsi ad alcuni obblighi particolari, o di agire senza preoccuparsi delle conseguenze morali o giuridiche.

45 bravi: malviventi al servizio dei signorotti.

46 paludato … rispettabile: ammantato e protetto dal mio aspetto esteriore rassicurante per gli altri, e quindi del tutto rispettabile per la società.

47 stupefazione: sorpresa e smarrimento.

48 depravazione: azione delittuosa e malvagia.

49 la presa della coscienza: la consapevolezza che ciò che stava facendo era orrendo.

50 incontaminato: senza aver cognizione del male commesso.

51 cortine: tendine.

52 mogano: legno molto pregiato.

53 psicologismo: interesse spiccato per l’interpretazione psicologica dei fenomeni di qualsiasi tipo.

54 timpani: strumenti a percussione simili a tamburi.

55 orripilato: turbato e sconvolto.

56 Babilonia: città mesopotamica nella quale, secondo la Bibbia, durante un banchetto apparve una mano misteriosa a tracciare tre parole che annunciavano la morte al re dei Caldei, Baldassarre.

57 irrevocabile: definitiva.

58 laddove: mentre.

59 facoltà: elementi costitutivi della personalità, come la coscienza morale ecc.

60 con esasperate apprensioni: con preoccupazioni frequenti e acute.

61 appetiti: voglie, istinti.

62 astinenza: vita regolata da norme precise, quindi anche con inevitabili rinunce.

63 i corni del dilemma: le due alternative (che si escludevano a vicenda).

64 gettano il dado: come se tirassero a sorte tra loro, determinando il destino dell’uomo.

65 con … riserva: senza essere del tutto convinti della propria scelta.

66 gratificazione: riconoscimento.

67 scipite: senza forza, senza sapore.

68 beone: bevitore accanito, ubriacone.

69 insensibilità etica: incapacità di scegliere i comportamenti leciti.

70 demone: qui nel senso di "spirito malvagio, diabolico".

71 ne irruppe: uscì fuori violentemente.

72 della mia sventurata vittima: si tratta dell’omicidio di Carew (cap.4).

73 freni inibitori: scrupoli morali, che trattengono l’uomo dal compiere il male.

74 acme: punto più alto.

75 dal teatro … eccessi: dal luogo in cui avevo commesso un delitto così infame.

76 libidine: voglia sfrenata.

77 parossismo: massima ed eccessiva intensità, esasperazione.

78 tripudiando: esultando, rallegrandomi.

79 sulle mie peste: sulle tracce che potevo aver lasciato.

80 autocompiacimento: soddisfazione per il mio stesso comportamento.

81 affissarmisi: mostrarmisi con insistenza.

82 patibolo: condanna a morte.

83 a spacciarlo: a eliminarlo fisicamente, ucciderlo.

84 redimere: riscattare, riabilitare.

85 dicotomia: duplicità.

86 in ceppi: in prigione.

87 affrancata: liberata.

88 capace: capiente, ampia.

89 Regent’s Park: parco sulla sinistra del Tamigi, a nord-ovest di Soho.

90 vanaglorioso: presuntuoso, superbo.

91 nella tempra: nella più profonda natura, nell’intimo.

92 degli imperativi: dei divieti e dei vincoli morali.

93 nocchiuta: nodosa.

94 pendaglio da forca: degno di essere condannato a morte.

95 al suo cospetto: davanti a lui in persona.

96 mi sovvenni: mi ricordai.

97 Portland Street: si trova nel quartiere di Walworth, oltre la riva destra del Tamigi.

98 serpa: cassetta su cui si siede il cocchiere nelle carrozze.

99 trasognato: come in un sogno ad occhi aperti.

100 sentenza di Lanyon: è quanto Lanyon promette a Hyde, come in giuramento, "sotto il suggello del segreto professionale".

101 lemme lemme: molto lentamente.

102 funambolico: difficilissimo, letteralmente acrobatico.

103 spada di Damocle: espressione usata per dire pericolo imminente.

104 smangiata: smagrita, consumata.

105 lassa: sfinita.

106 senza transizioni: senza avvertire le varie fasi del passaggio.

107 allucinazione … terrore: stato di eccitazione in cui comparivano numerosissime fantasie macabre.

108 coerede: erede insieme a Hyde.

109 pregnante: intensa e complessa.

110 amorfa: senza una sua forma.

111 non plasmato: senza una forma propria.

112 lo detronizzasse dalla vita: lo spodestasse definitivamente, sostituendosi sempre più a lui nel prendere decisioni.

113 aborriva: odiava, rifuggiva con orrore.

114 accasciamento: cedimento di forze, prostrazione.

115 abiezione: stato di abbrutimento, bassezza estrema.

116 acquiescenza: remissività.

117 mi ha avulso: mi ha sottratto.

118 peritosamente: con preoccupazione non disgiunta da timore e paura.

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