AMBIENTE
I microrganismi presenti virtualmente in ogni habitat naturale, rappresentano un sistema efficentissimo di demolizione delle scorie naturali. La biodegradazione è dunque un processo naturale.
Nel caso di composto non facilmente biodegradabili da parte di microrganismi presenti in natura, è possibile impiegare batteri geneticamente modificati. E’ possibile allestire in laboratorio nuove combinazioni di materiale ereditabile, ottenute mediante l’inserimento di piccole molecole di DNA, in un batterio ospite in cui tali molecole non avrebbero mai potuto essere trasferite in condizioni naturali. L’impiego di questi batteri GM implica la necessità di conoscere gli effetti causati all’ecosistema dopo il oro rilascio nell’ambiente. A questo gli scienziati hanno trovato rimedio inserendo uno speciale gene killer, che determina l’autodistruzione del batterio quando ha consumato il composto.
Da parecchi anni ormai le tecniche di biorisanamento hanno dimostrato di essere altamente efficienti e di avere una maggiore versatilità di applicazione rispetto a quel che si credeva. Ad esempio è stato allestito un specifico ceppo batterico “mangia petrolio”, portatore di un plasmidio catabolico ingegnerizzato, in modo che lo stesso batterio è in grado di realizzare tutte le vie metaboliche che consentono la degradazione totale del prodotto inquinante. Il petrolio contiene diversi tipi di idrocarburi, ma d’altra parte in natura ceppi diversi del batterio Pseudomonas putida sono in grado di degradare o l’uno o l’altro. Grazie alla tecnica del DNA ricombinante i gene presenti sui diversi plasmidi sono stati assemblati in un unico plasmidio che è stato poi trasferito in una singola cellula, creando così un organismo in grado di degradare tutte le componenti principali del petrolio.
Le biotecnologie applicate alla salvaguardia ambientale consentono di disporre di sistemi diagnostici molto raffinati e sensibili che permettono di rilevare, in tempo reale, il grado di inquinamento di una determinata area. Le diverse tecniche diagnostiche, che si basano sull’impiego di anticorpi mono e policlonali, di enzimi e batteri e di sonde nucleotidiche, consentono di rilevare e quantizzare sia i contaminanti chimici (erbicidi, insetticidi, fungicidi) sia i contaminanti biologici (virus, batteri e funghi patogeni).
Grazie alle biotecnologie è possibile addirittura produrre la neve. I ceppi naturali di Pseudomonas syringae, che vivono sulle foglie delle piante, sono in grado di favorire il processo della trasformazione dell’acqua in cristalli di ghiaccio, grazie alla produzione di una specifica proteina che agisce sulle molecole di H2O organizzandole appunto in cristalli. Questi batteri possono quindi venire sfruttati per la formazione di neve.
L’impiego di altri particolari ceppi di batteri sembrano essere in grado di asportare la quasi totalità di zolfo presente nel carbone. Questi dunque possono essere utilizzati per le piogge acide, che danneggiano pesantemente laghi e foreste, le quali sono dovute soprattutto alla presenza di zolfo e i suoi composti che si liberano dalla combustione del carbone.