Traduzione di Carla Apollonio

 

E’ la verità! Sono nervoso, sono stato e sono molto, molto, terribilmente nervoso, ma perché volete dire che sono pazzo? Il male ha acuito i miei sensi, non li ha distrutti, non li ha annientati: più di qualunque altro aveva avuto il senso dell’udito. Ho ascoltato tutte le voci del cielo e della terra, molte ne ho intese dell’inferno; come dunque potrei essere pazzo? Uditemi e osservate con che precisione, con che calma io possa narrarvi tutta la storia.

Non è possibile dirvi come in principio l’idea entrò nel mio cervello, ma, una volta concepita, essa mi possedette giorno e notte; non v’era né scopo, né passione; io amavo il vecchio, non mi aveva mai fatto un torto, non mi aveva mai insultato; non desideravo affatto il suo oro. Credo che fosse il suo occhio! Sì, era sicuramente quello. Aveva l’occhio che sembrava quello di un avvoltoio, un occhio azzurro pallido, coperto da una pellicola; ogni volta che esso si posava su di me, il mio sangue si agghiacciava; perciò, a poco a poco, molto lentamente, decisi di togliere la vita al vecchio, liberandomi quindi per sempre dell’occhio.

Ora questo è il punto; voi pensate che io sia pazzo; i pazzi non sanno nulla, ma voi avreste dovuto vedere me, avreste dovuto osservare con quanta sapienza operai, con quanta prudenza, con quanta preveggenza, con quale finzione mi misi al lavoro! Non fui mai così servizievole verso il vecchio come durante l’intera settimana prima di ucciderlo; tutte le notti, verso mezzanotte, giravo la maniglia della sua porta e l’aprivo oh! Con quanta delicatezza! E poi, quando ero riuscito ad aprirla abbastanza da far passare la testa, vi introducevo una lanterna cieca, completamente chiusa, chiusa in modo tale che non ne uscisse il minimo raggio di luce e poi introducevo la testa. Avreste roso al vedere con quanta abilità compivo questa operazione: mi muovevo piano, molto, molto piano, in modo da non disturbare il sonno del vecchio; per introdurre tutta la testa nell’apertura in modo che potessi vederlo disteso sul suo letto mi ci voleva un’ora. Ah! Credete che un pazzo sia capace di essere così saggio? E allora, quando la testa era ben dentro la camera, aprivo con prudenza la lanterna oh! con quanta prudenza! Con prudenza, poiché le cerniere cigolavano e la schiudevo solo quanto era sufficiente perché un sottile filo di luce andasse a cadere sul suo occhio di avvoltoio.

Ho fatto questo per sette lunghe notti, ogni notte sempre a mezzanotte, ma trovavo l’occhio sempre chiuso e non mi fu mai possibile mettere in azione il mio piano perché non era il vecchio a perseguitarmi, ma il suo Occhio Maligno. E tutte le mattine, quando spuntava il giorno, entravo audacemente nella sua camera, parlavo coraggiosamente con lui, lo chiamavo per nome con tono cordiale e mi informavo di come aveva passato la notte. Vedete che avrebbe dovuto essere davvero un vecchio molto furbo, se avesse sospettato che ogni notte, a mezzanotte in punto, andavo a spiarlo mentre dormiva.

L’ottava notte fui anche più prudente del solito nell’aprire la porta; la lancetta dei minuti di un orologi si muove a una velocità maggiore di quella della mia mano. Mai prima di quella notte avevo inteso la vastità dei miei poteri, della mia sagacia. Potevo appena dominare la mia sensazione di trionfo. Io ero là che aprivo la porta piano, piano, ed egli non sognava nemmeno i miei atti segreti o i miei pensieri. A questa idea, soffocai un poco il riso; e forse egli mi udì perché si scosse improvvisamente nel letto come se trasalisse. Ora voi penserete forse che io fuggissi; ma no. La sua camera era nera come la pece tanto fitte erano le tenebre (le imposte erano infatti chiuse ermeticamente, per timore dei ladri), ed io sapevo che non avrebbe potuto vedere la fessura della porta, così continuai a spingerla decisamente. Avevo già la testa dentro e stavo per aprire la lanterna, quando il mio pollice scivolò sulla serratura metallica e il vecchio si alzò a sedere sopra il letto gridando: - Chi va là?

Rimasi completamente immobile e non dissi nulla. Per più di un’ora non mossi un muscolo e in tutto quel tempo non lo intesi ricoricarsi. Egli stava seduto sul letto, in ascolto; proprio come avevo fatto io, notte dietro notte, ascoltando gli orologi della morte nel muro.

Presto udii un flebile gemito, e riconobbi che era un gemito di terrore mortale. Non era un gemito di dolore o di angoscia, oh no! Era il suono sordo e soffocato che viene dal fondo di un animo sopraffatto dalla paura. Oh! Io conoscevo molto bene quel rumore. Era scaturito dal mio petto per molte notti, alla mezzanotte precisa, quando tutti erano addormentati, rendendo più profondi, con la sua eco spaventosa, i terrori che mi opprimevano. Vi dico che lo conoscevo bene. Capivo ciò che provava il povero vecchio, e provai pietà per lui, benché nel mio cuore sogghignassi. Ero sicuro che fino dal primo rumore egli era rimasto lì, dopo che si era rivoltato nel letto. La sua paura era andata sempre aumentando. Aveva fatto ogni sforzo per persuadersi che essa era irragionevole, ma non aveva potuto. Si era detto: - Non è che il vento soffia nel camino; non è che un topo che attraversa il pavimento, è soltanto un grillo che ha mandato un unico strido.

Sì, egli aveva cercato di farsi coraggio con queste supposizioni, ma tutto invano, tutto invano, poiché la morte, che si avvicinava, aveva avviluppato la sua vittima passando dinanzi a lui con la sua grande ombra nera. E l’influsso funebre dell’ombra invisibile gli faceva sentire, benché non vedesse e non udisse nulla, la presenza della mia testa nella camera.

Dopo aver aspettato per lungo tempo, con molta pazienza, senza sentirlo stendersi di nuovo, decisi di aprire un piccolo, un piccolissimo spiraglio nella lanterna. Così lo aprii, voi non potete immaginare quanto piano, piano, finché alla fine un solo raggio, pallido e sottile come un filo di ragno, uscì dalla fessura e andò a battere sull’occhio d’avvoltoio.

Era aperto, completamente aperto e io diventai furioso appena lo vidi. Lo vidi con perfetta chiarezza tutto azzurro opaco, con quell’orribile velo che mi gelava il midollo nelle ossa; ma io non riuscivo a scorgere null’altro del viso e della persona del vecchio poiché avevo diretto il raggio, come per istinto, proprio su quel dannato punto. Non vi ho già detto che ciò che voi scambiate per pazzia non è che una eccezionale acutezza dei sensi? Ora, vi dico, mi giunse agli orecchi un cupo, soffocato, rapido rumore, come il suono di un orologio avvolto nel cotone. Lo riconobbi subito quel suono. Era il battito del cuore del vecchio. Esso aumentò la mia furia come il battito del tamburo stimola il coraggio del soldato.

Tuttavia riuscii ancora a frenarmi e rimasi immobile. Respiravo appena. Tenevo la lanterna immobile. Mi curavo solo di mantenere con la massima fermezza il raggio diritto sull’occhio. Nel frattempo il diabolico rullare del cuore aumentava. Diveniva più svelto e più forte ad ogni istante. Il terrore del vecchio doveva essere all’estremo! Quel battito, l’ho già detto, aumentava ad ogni momento. Ma state attenti? Vi ho già detto che sono nervoso. Lo sono. E allora, nel cuore della notte, nel silenzio terribile di quella vecchia casa, quel rumore così strano mi provocò un terrore incontrollabile. Ancora per qualche minuto mi frenai e rimasi fermo, ma il battito aumentava ancora e ancora!

Quel cuore sarebbe scoppiato, pensai e allora mi prese una nuova ansia: quel suono poteva essere udito da qualche vicino. L’ora del vecchio era arrivata: con un urlo aprii tutta la lanterna e mi slanciai nella camera; gridò una volta, una sola. In un attimo lo gettai a terra e gli rovesciai addosso il peso del letto. E allora sorrisi di gioia nel vedere la mia opera così a buon punto; ma per molti minuti il cuore continuò a battere con un suono velato che però non mi impensierì perché non poteva essere udito attraverso il muro; alla fine cessò; il vecchio doveva essere morto. Spostai il letto ed esaminai il cadavere: sì, era morto, morto stecchito; gli posai la mano sul cuore e ve la tenni per parecchi minuti: nessuna pulsazione; era morto stecchito; il suo occhio non mi avrebbe infastidito mai più.

Se persistete a considerarmi pazzo, non lo penserete più a lungo quando vi avrò descritto le sagge precauzioni che presi per celare il corpo. La notte declinava e io lavoravo rapido, ma in silenzio; prima di tutto smembrai il cadavere, gli tagliai la testa, le braccia e le gambe. Sollevai poi tre tavole del pavimento e nascosi il tutto tra le travi. Rimisi quindi a posto le tavole con tanta destrezza e abilità, che nessun occhio umano, nemmeno il suo, avrebbe potuto scoprire alcuna traccia. Non c’era nulla da lavare , nessuna macchia, nemmeno una goccia di sangue. Avevo pensato a tutto! Una tinozza aveva raccolto tutto, ah! ha!

Quando giunsi alla fine di questo lavoro erano le quattro ed era buio come a mezzanotte. Mentre le campane battevano le ore, bussarono alla porta di strada. Andai ad aprire con il cuore sereno; infatti che cosa ormai potevo temere, ora? Entrarono tre uomini, che si presentarono, con cortesia perfetta, come agenti di polizia. Un grido era stato udito da un vicino durante la notte; era sorto il sospetto di qualche disgrazia; avevano informato l’ufficio di polizia, e gli agenti erano stati incaricati di perquisire lo stabile. Io sorrisi; di che cosa dovevo aver paura? Diedi il benvenuto ai signori. Il grido, io dissi, era stato fatto da me in sogno. Il vecchio, accennai, era assente, in campagna. Guidai i visitatori attraverso tutta la casa e li invitai a cercare , cercare bene. Li guidai infine anche nella sua camera . mostrai loro le sue ricchezze, sicure, intatte. Nell’entusiasmo della mia tranquillità portai nella camera alcune sedie e li pregai di fermarsi lì a riposare dalla fatica, mentre io, nella selvaggia audacia del mio perfetto trionfo, posi la mia sedia sopra il punto dove riposava il cadavere della vittima.

Gli agenti erano soddisfatti: le mie maniere li avevano convinti; io ero singolarmente tranquillo; essi sedettero e io risposi allegramente ai loro discorsi su fatti familiari. Ma poco dopo mi accorsi che diventavo pallido e desiderai che andassero via. La testa mi faceva male e mi sembrava di avere un tintinnio nelle orecchie, ma essi continuavano a restar lì a chiacchierare ; il tintinnio divenne sempre più distinto, continuava e diveniva più distinto; parlai con più foga per liberarmi di quella impressione, ma esso continuava ed aumentava in chiarezza, finché, alla fine, mi accorsi che il suono non era entro le mie orecchie.

Senza dubbio allora divenni molto pallido, ma parlai più in fretta, alzando la voce; tuttavia il suono aumentava; che cosa potevo fare? Era un rumore cupo, soffocato, continuo, simile al suono di un orologio avviluppato nel cotone. Faticavo a respirare, ma gli agenti non lo sentivano. Parlai ancora più rapidamente, con più veemenza, ma il rumore aumentava in continuazione. Mi alzai e parlai di cose frivole con un tono di voce altissimo, con gesti violenti, ma il rumore aumentava sempre, incessantemente. Perché non volevano andar via? Passeggiai su e giù sul pavimento, a passi pesanti, come se fossi furiosamente eccitato per le osservazioni di quegli uomini, ma il rumore aumentava regolarmente. O Dio! Che cosa potevo fare? Avevo la bava alla bocca, deliravo, bestemmiavo. Afferrai la seggiola su cui ero stato seduto e la strascicai sul pavimento, ma il rumore era più forte di tutto e continuava ad aumentare. Diveniva più forte, più forte, più forte! Ed intanto quegli uomini chiacchieravano scherzando e ridendo. Era possibile che non udissero nulla? Eterno Iddio! No, no! Essi udivano! Essi sospettavano! Essi sapevano! Essi beffavano il mio orrore! Lo pensai e lo penso ancora. Ma qualsiasi cosa era più sopportabile di questa angoscia! Qualsiasi cosa era più sopportabile di questa derisione! Non potevo sopportare più a lungo quei sorrisi ipocriti! Compresi che dovevo gridare o morire! e allora… di nuovo!…udite! più forte! più forte! più forte!

- Maledetti! – gridai. – Smettete di fingere! Confesso! L’ho ucciso! Tirate via quelle tavole Qui! È qui! È il battito del suo odioso cuore!